Di Ernesto Pagano
(dal numero di dicembre di Babel periodico COSPE)
UN’EMERGENZA SENZA PRECEDENTI
Da sud a nord, da est a ovest. Chi attraversa il Mediterraneo e sfida la morte sui barconi non lo fa più per trovare migliori opportunità di lavoro: lo fa innanzitutto per sopravvivere ai conflitti, quello siriano in primis . Un conflitto che, dopo la reazione muscolare di Russia e Francia agli attentati di Parigi e del Sinai, si è fatto ancora più duro e letale. Nel 2015 quasi un milione di persone ha attraversato il Mediterraneo per raggiungere la Sicilia e la Grecia. Di oltre 3mila persone è nota la morte. La rotta est Mediterraneo-Balcani è stata la più battuta del 2015.
Soltanto dal 1 ottobre a metà novembre circa 200mila profughi hanno attraversato i Balcani arrivando dalla Grecia. Per fronteggiare questa “invasione” paesi come Macedonia e Serbia non sono andati tanto per il sottile: hanno respinto i migranti alle frontiere a suon di manganelli, o li hanno lasciati passare voltandosi dall’altra parte. Secondo Unhcr la loro capacità ricettiva per i rifugiati ammonta a circa 3mila posti letto. Soltanto nella prima settimana del Giugno 2015 hanno varcato le frontiere dei due paesi quasi in 20mila.
Come racconta Joel Millman (Iom) al New Yorker, l’obiettivo principale dei paesi balcanici non è quello di arrestare i rifugiati, ma è quello di intimidirli. “Se i macedoni cominciassero ad arrestarli – spiega – le spese per il mantenimento delle carceri raggiungerebbe costi astronomici”. Izmir (Turchia), Lesbo (Grecia), Atene, Gevgelija (Macedonia)* , Preševo (Serbia), sono alcune delle tappe di un possibile itinerario per i fortunati che riescono a varcare i confini dell’inferno siriano. Lungo tutta la rotta i trafficanti di esseri umani abbondano, offrendo un’ampia gamma di pacchetti di viaggio che includono quasi sempre il rischio di morire o venire molestati. Per questo è nato un gruppo Facebook che in arabo suona come “Asilo e Immigrazione senza trafficanti”. Ribattezzato dalla stampa americana come il Trip Advisor dei rifugiati, la pagina offre una serie di informazioni, incluse cartine ragionate, per dare una chance in più a chi decide di attraversare il mare o le zone montuose dei Balcani.
LA FUGA VERSO NORD
Per molti profughi che affrontano la morte per raggiungere la parte ricca dell’Europa la beffa più grande sarebbe quella di rimanere bloccati in qualche Paese dell’Europa dell’est come Bulgaria o Ungheria. Venendo dalla Turchia, la Bulgaria è il primo stato europeo firmatario della Convenzione di Dublino, che obbliga i profughi a restare nel primo Paese in cui hanno presentato richiesta d’asilo. Vuol dire che se un siriano viene beccato dalla polizia bulgara, l’unico modo per non essere rimpatriato sarà fare richiesta d’asilo: fine del viaggio, e delle speranze. Sono in molti a bruciarsi i polpastrelli con accendini o mozziconi di sigaretta per rendere temporaneamente irriconoscibili le loro impronte digitali nella speranza di non essere identificati e richiedere asilo più a nord, magari in Svezia o in Germania. La Carta Europea dei diritti Fondamentali garantisce che nessun richiedente asilo possa essere “rimosso, espulso o estradato” in un Paese dove la sua incolumità è a rischio. Secondo questo principio l’Europa è obbligata in pratica ad accogliere ogni siriano, (o afgano, iracheno, libico ecc.) che richiede asilo. Ma la convenzione di Dublino ha reso la vita molto più complicata, sia ai richiedenti asilo che ai paesi che devono accoglierli senza potersene più liberare. Sottoscritta nel 1990 da 12 stati dell’Unione Europea, “Dublino” è entrata in vigore nel 1997 ed è stata poi riaggiornata nel 2003 e nel 2013. Ad oggi i paesi che hanno firmato gli accordi di Dublino sono i 28 dell’Unione europea assieme a Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein. Secondo gli accordi un rifugiato può chiedere il ricongiungimento familiare e quindi fare richiesta d’asilo nel Paese in cui si trova già il resto della sua famiglia. Ma in pratica le procedure di accertamento del legame di parentela sono lunghissime, soprattutto quando i richiedenti asilo non hanno documenti. A fare le spese di questi accordi sono soprattutto i paesi di frontiera come Ungheria, Grecia e Italia. Anche se i numeri delle richieste d’asilo più alti sono quelli di Germania e Svezia. La Germania, in particolare, ad agosto 2015 ha sospeso la Convenzione di Dublino per farsi carico di tutte le richieste d’asilo provenienti dai siriani. Oggi tutti parlano di “superare Dublino”, un accordo immaginato in presenza di flussi regolari di rifugiati e di una politica sull’accoglienza omogenea in tutti i paesi dell’Unione. Ma gli stati non sono tutti d’accordo sulla strada da seguire. Gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso, sono destinati ad avere un peso determinante sul processo di revisione delle politiche migratorie e dell’accoglienza dei rifugiati in Europa.
IL PURGATORIO DELLA SPONDA SUD
Ma c’è un’altra emergenza che la trasformazione dell’Europa in una fortezza dai confini sempre più invalicabili potrebbe rendere ancora più grave. Mezzo milione di rifugiati in Nord Africa vivono in un limbo di precarietà, assenza di lavoro, sfruttamento e condizioni spesso disumane. Per molti di loro il Nord Africa non è altro che l’anticamera dell’Europa. Da qualche tempo al Cairo capita d’imbattersi in rifugiati siriani, spesso molto giovani, che chiedono l’elemosina. Nella capitale egiziana vivono anche molti rifugiati sudanesi. Le violenze e le molestie che subiscono da parte di polizia o datori di lavoro che li riducono in semi schiavitù sono una storia che si ripete ormai da decenni. Secondo l’Unhcr, le condizioni in cui vivono molti rifugiati in Egitto li spingeranno in numero sempre crescente a tentare la fuga in Europa attraverso le reti di trafficanti clandestini. E se l’Egitto è il Paese che in Nord Africa accoglie più rifugiati (236mila, di cui oltre la metà sono siriani), nella sponda est del Mediterraneo lo è sicuramente il Libano. Il conflitto siriano ha prodotto nel Paese dei cedri oltre 1,4 milioni di rifugiati. In confronto, la presenza di oltre 6000 rifugiati iracheni, vista da Beirut, appare una questione insignificante. Con la recrudescenza della guerra in Siria, ormai un ginepraio di conflitti locali e internazionali che si influenzano e si sovrappongono, la pressione migratoria non potrà che aumentare. Nei campi profughi del Libano, o sotto le bombe in Sira, una nuova generazione, che non ha mai conosciuto la pace, e talvolta nemmeno il proprio Paese, sta cominciando a nascere. In un’analisi condotta nel 2014 su un campione di quasi sei milioni di neonati siriani, oltre il 72 per cento non possedeva un certificato di nascita. Il loro futuro, inclusa la loro identità, è legata al futuro del Mediterraneo.