Profughi e richiedenti asilo: a colloquio con Mario Marazziti
di Gian Mario Gillio
«L’iniziativa ha un valore esemplare in quanto per la prima volta si realizza un’attività necessaria e atta ad affrontare in maniera civile, umana e intelligente il tema delle migrazioni mondiali. L’esodo dei profughi forzati che scappano dalle guerre, dalle persecuzioni, dalle desertificazioni che stanno cambiando il mondo. Lo si fa introducendo un principio semplice: che si possono fare i viaggi sicuri»; lo ha detto Mario Marazziti, deputato Pd e presidente della Commissione Affari sociali alla Camera e vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione dei migranti nei centri di identificazione e espulsione e nei centri di accoglienza per richiedenti asilo. Marazziti è anche portavoce della Comunità di Sant’Egidio: gli abbiamo rivolto alcune domande.
L’apertura dei corridoi umanitari dal Marocco e dal Libano e Etiopia – promossa dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio – è una buona pratica messa in essere da organizzazioni religiose. Qual è il suo parere in qualità di portavoce della Comunità di Sant’Egidio e di uomo delle istituzioni?
«I corridoi umanitari sono un’iniziativa straordinaria, una buona pratica, non solamente dal sapore simbolico ma dal valore concreto. Lo sano bene le famiglie e le persone fragili e vulnerabili che inizieranno nei prossimi giorni i primi viaggi verso una nuova vita. L’iniziativa ha un valore esemplare in quanto per la prima volta si realizza un’attività necessaria e atta ad affrontare in maniera civile, umana e intelligente il tema delle migrazioni mondiali. L’esodo dei profughi forzati che scappano dalle guerre, dalle persecuzioni, dalle desertificazioni che stanno cambiando il mondo. Lo si fa introducendo un principio semplice: che si possono fare i viaggi sicuri. Togliendo dalle mani dei trafficanti il business della tratta di esseri umani e togliendo possibilità di controllo di questo traffico ai terroristi di Daesh, un modo per restituire all’Europa la possibilità di non contraddire sé stessa: i suoi valori più profondi e la sua stessa identità».
È una partenza o è il punto di arrivo di un lungo percorso culturale, solidale ed ecumenico?
«È un punto d’arrivo eccezionale che ha impegnato per più di un anno la Fcei e la Comunità di Sant’Egidio. È il frutto di quell’anima evangelica e buona del nostro mondo occidentale che, in maniera generosa e libera, riesce a pensare e realizzare quello che i governi, le regole e le strutture dei nostri Stati nazionali e democrazie in questo momento un po’ fragili, non sono riuscite neanche a immaginare».
Quando è nata l’idea dei corridoi insieme alla Fcei?
««All’indomani della tragedia che il 3 ottobre 2013 causò al largo di Lampedusa la morte straordinaria di troppi esseri umani. Ricordo che l’apertura di corridoi umanitari fu l’idea che spontaneamente sorse a chi assistette a tale dramma. Quando ci recammo con la presidente della Camera, Laura Boldrini, e altri cinque deputati a Lampedusa all’indomani dei tragici fatti, proprio mentre venivano composte in quell’hangar le prime salme e venivano fatti i primi passi per dare un nome a quei 113 morti, tra i quali si contavano già i primi quattro bambini, facemmo la nostra prima preghiera e aiutammo i sopravvissuti eritrei a essere meno disperati dimostrando la nostra vicinanza e il nostro affetto, regalammo un po’ di sollievo in quei drammatici momenti. Scoprimmo però che quelle salme, le prime, che stavano giungendo a Lampedusa, erano solo una parte di una tragedia ben più grande che stava ancora aspettando di essere ritrovata in fondo al mare».
Che cosa si intende per corridoi umanitari?
«Il modo più adeguato per poter far giungere in Europa, o in quella parte del mondo in cui è possibile ancora vivere, le persone che sono in fuga da terre invivibili, facendolo in modo sicuro e grazie alla distribuzione di visti umanitari rilasciati in Marocco e in Libano ed Etiopia attraverso le ambasciate e gli uffici che la Fcei e Sant’Egidio hanno predisposto. I visti sono un modo per dare a queste persone la certezza di un viaggio dignitoso e privo di rischi, ma anche per dare loro, attraverso le nostre organizzazioni, un futuro di integrazione grazie agli accordi che le chiese, la società civile, le istituzioni hanno attivato per garantire loro un futuro concreto con possibilità lavorative e ricongiungimenti famigliari. Sono attive reti di solidarietà tra siriani e iracheni, ad esempio, che potrebbero accogliere i propri fratelli».
Come dovrebbero funzionare?
«L’attivazione dei primi tre corridoi umanitari, dal Marocco, dal Libano e dall’Etiopia – in un tempo in cui il terrore e la brutalità sono arrivati anche in Europa, facendo aumentare sensibilmente il numero di persone preoccupate per quanto sta accadendo nel mondo con la richiesta di maggior sicurezza – acquistano oggi un valore aggiunto, ossia, il fatto che vi è la possibilità di poter identificare le persone prima della loro partenza e dunque prima che esse giungano sul territorio europeo e individuando, altresì, le persone più fragili e vulnerabili fra i tanti profughi in partenza. Un modo per dare loro la dovuta priorità: famiglie con bambini fragili, malati o disabili, ad esempio. I tre uffici aperti dalla Fcei e sant’Egidio permettono di poter raccogliere queste storie di avviare in seguito il percorso di identificazione e predisporne l’arrivo in Italia grazie all’accordo fatto con i ministeri degli Esteri e dell’Interno, e quindi di poter far avere per un anno un permesso umanitario. Tutto ciò senza costi per lo Stato: un progetto sostenuto dai credenti che assegnano le risorse attraverso la destinazione delle quote Otto per mille all’Unione delle chiese metodiste e valdesi, grazie ai fondi stanziati da sant’Egidio e a quanto si raccoglierà attraverso le donazioni. Un nuovo modello di integrazione che definirei di “integrazione immediata”. Ciò che manca in tutto il sistema di accoglienza nazionale».
Ossia?
«I Cara, per non parlare dei Cie (centri di identificazione ed espulsione), gli Sprar, dunque i centri più piccoli sparsi sul territorio nazionale, sovente servono a far “buttare via” sei mesi, un anno, due anni di vita di queste persone ospitate. Un tempo che queste persone passano proprio nell’attesa di un documento di asilo, se accolto, o di eventuale ricorso, in caso di espulsione. Luoghi dove vengono fatti micro corsi di lingua, più spesso dove si pratica il nulla. Tutto questo tempo perso è un rischio in quanto crea marginalità, un tempo buttato anche per la crescita della nostra Europa, la crescita della nostra Italia. Il nostro Paese, lo sappiamo tutti, ha invece un enorme bisogno di nuovi italiani per via dell’invecchiamento della popolazione, per lo squilibrio nel pagamento delle pensioni, per la difficoltà di poter essere competitivi. La mancanza di generazioni giovani è la prima causa di questo malessere europeo e queste persone che arrivano nel nostro paese sono generazioni di giovani. Iniziare immediatamente un percorso di integrazione è uno dei modi per favorire il nostro sviluppo. Dunque i corridoi umanitari della Fcei e in collaborazione con la comunità di Sant’Egidio hanno convinto il governo italiano, un prototipo e una buon esempio che potrebbero riproporre tutti i paesi europei, un progetto umanitario che ritengo essere di grande valore».
Fa riflettere il dato che solo grazie all’impegno delle chiese e della società civile si sia arrivati a convincere la politica e le istituzioni che questa fosse una buona pratica. Non poteva essere il contrario?
«In questa fase politica italiana ed europea c’è una grave debolezza delle democrazie occidentali. Una deriva populistica legata ai tanti anni di crisi economica e finanziaria, crisi in cui anche la ripresa che vi è stata è una ripresa senza lavoro e di una concezione diversa anche del poco lavoro esistente. L’Unione Europea, seppur frammentata, in questa nuova crisi è tuttavia l’antidoto a derive nazionaliste che portarono dopo la crisi del 1929 all’avvento del nazismo. Tuttavia persistono delle forti spinte populiste che indeboliscono tutti i parlamenti. Dunque è molto difficile poter prendere delle decisioni complesse e impopolari in un tempo in cui c’è chi sfrutta il disagio sociale creando capri espiatori. Lo sappiamo bene ed è sempre stato così, sono “quelli che vengono da fuori”, a essere la causa di ciò che non va bene da noi. In questo senso, a mio avviso, dalle chiese, dalla società civile, arriva quella libertà che è radicata proprio nella fede e nella coscienza di ognuno di noi».
Soffiare sul vento della paura, tra le liste antisemite pubblicate online e luoghi comuni su rom, sinti e immigrati è una vecchia litania populista?
«Ogni volta che si apre il coperchio delle paure e degli istinti peggiori non si sa mai dove si va a finire e l’antisemitismo ritrova sempre “fiato” e soprattutto ritrovano “fiato” gli stereotipi che vedono nell’altro, nel diverso da noi, il nemico. Questo è certamente ciò che vogliono diffondere gli estremisti radicali e gli assassini di Daesh, ad esempio. È difficile capire chi c’è dietro e chi redige le liste come quelle di Radio Islam, se sono islamisti radicali o chi, invece, decide di utilizzarne le sembianze per creare scontri tra correnti differenti interne per questioni di controllo e supremazia. Diciamo che su questi fatti, condannabili come indegni e inauditi, c’è purtroppo anche molta opacità. L’unica cosa chiara è che noi siamo chiamati a condannare ogni atto di antisemitismo e di dover aiutare l’Islam a resistere alla tentazione di sentirsi perseguitato da noi. Dunque, non regalare al cosiddetto Stato islamico l’idea che l’Occidente si stia coalizzando contro l’Islam. Oggi Daesh è ancora una minoranza brutale che vuol far passare l’idea di essere il vendicatore dell’Islam. Un miliardo di musulmani nel mondo non solo non si riconoscono in questa organizzazione ma si sentono fortemente minacciati. Sta a noi non creare i presupposti per regalare a Daesh la forza di poter proseguire nel suo nefasto obiettivo. È necessario resistere alle tentazioni di odio e conflitto e alle semplificazioni, dobbiamo ricostruire le radici civili, umane e morali e valoriali della bellezza del nostro vivere insieme».
Oltre alla buona pratica di intervento c’è anche la buona pratica del dialogo ecumenico…
«Alla grande divisione delle guerre e dell’odio che fanno scappare molte persone dalle loro terre noi rispondiamo con l’unità. Le chiese cristiane hanno la capacità di riunirsi e di andare verso un punto comune in avanti e riconoscendosi come sorelle e fratelli, nel servizio ai poveri e nel recupero della dignità umana. Solo tornando a essere autentici cristiani, saremo in grado di cambiare il mondo».