Di Ivan Grozny Compasso
È la prima cosa che si vede appena messo un piede fuori dall’aeroporto di Tijuana. La linea di confine, il muro che separa Messico dagli Stati Uniti. Impressiona per dimensioni e per com’è strutturato. Ci sono un numero spaventoso di nomi, su croci sui quali sono incisi. Una vista che non può lasciare indifferenti. Oltre il muro s’intravedono i mezzi della polizia di frontiera messicana.
La notte il muro è talmente illuminato che sembra giorno. Sul lato messicano oltre alle croci tanti murales che raccontano storie di persone che non ce l’hanno fatta a raggiungere il loro sogno. Su quello statunitense, da quel che si riesce vedere, il grigio del cemento è una costante. Torrette per controllare dall’alto, mezzi militari che vanno avanti e indietro. Elicotteri. È un suono che non s’interrompe mai quello delle pale di questi mezzi che non smettono mai di sorvolare il territorio. Un altro elemento che ci fa capire quanto sia ultra blindata questa frontiera. Ci vogliono quattro ore di volo da Città del Messico per raggiungere questa che per molti è “la città perduta”. Sì perché, a detta dei messicani che si occupano di questioni umanitarie, questa è una città che non ha speranze di salvezza. Eppure sono in tanti che cercano di raggiungerla nella speranza di passare dall’altro lato. È quasi impossibile farcela. I pochissimi che qui ci arrivano non hanno chance, a meno di miracoli. Attraversare il Messico, la maggior parte tenta di farlo a piedi partendo dal Chiapas, il confine sud del Paese. Quelli che riescono a superare la prima parte del viaggio, centinaia e centinaia di km, devono poi affrontare la parte più dura.
Il deserto, la Sierra, è un ostacolo quasi insormontabile. La mancanza di acqua, le temperature che al calar del sole sono rigidissime, gli animali predatori e i “cacciatori” di uomini fanno il resto. Per le donne la missione è ancora più dura e pericolosa. Quelle che decidono di attraversare il Messico sanno che se riusciranno ad arrivare in fondo al loro viaggio sarà a carissimo prezzo. Sanno per certo che subiranno violenze sessuali lungo il tragitto, che uomini abuseranno di loro. Per questo, è l’unica precauzione che possono mettere in atto, prendono la pillola anticoncezionale per evitare gravidanze indesiderate.
Tijuana è una città dove i vizi non solo sono tollerati, ma incentivati. In città la prostituzione è una delle prime voci di guadagno e vedere ragazze di ogni età e provenienza lungo le strade in attesa di clienti è tristemente normale. La maggior parte di esse provengono dai paesi del centro America: Salvador, Honduras e Guatemala per lo più. Poi ci sono le messicane, che sono comunque numeroso. Stupisce ancora di più vedere ragazze con chiari tratti somatici che richiamano all’Est Europa. Le poche coraggiose associazioni che si occupano di aiutare le donne che sono costrette a prostituirsi e dare loro supporto medico e psicologico assicurano che quest’ultime arrivano da Polonia, Ucraina e altri paesi dell’Est Europa. Da non credere.
Ci sono un decine e decini di locali che fingono di essere club esclusivi ma il cartello all’esterno avvisa che sono luoghi per soli uomini. Alcuni sono davvero enormi con scritte luminose appariscenti, altri sono un po’ più discreti. Giusto un po’. La polizia fa finta di nulla e si fa pagare per chiudere un occhio. Si vedono in giro moltissimi senza dimora e anche migranti. I più “fortunati” dormono in due grossi centri organizzati da associazioni cattoliche. Chi non trova spazio li è costretto ad arrangiarsi. Così non è inusuale lungo le strade che escono dal centro trovare accampamenti di fortuna dove queste persone cercano un rifugio.
Molti sono sfruttati per lavori faticosi, umili e mal pagati. Sono talmente disperati che sono disposti a tutto. Qui come lungo tutto il confine con gli States è zona di “maquilladoras”, capannoni di proprietà di aziende Usa che sfruttano la manodopera a basso costo per assemblare questo o quel dove prodotto che poi una volta negli Stati Uniti figurerà per essere stato manufatto lì. Le paghe di questi lavoratori sono bassissime.
A poche settimane dalla visita di Papa Francesco, qui è molto atteso, le questioni di disuguaglianza sociale, violenza e sfruttamento sono temi che non potrà non toccare. E poi c’è quel muro, con tutte quelle croci a ricordarci che nascere di qua o di là “della linea” determina eccome presente e futuro di chi qui ci vive.