Di Lorenzo Frigerio (Libera Informazione)
Il processo Borsellino quater avanza faticosamente a Caltanissetta, udienza dopo udienza, regalando a quanti fossero attenti un mix soporifero di notizie inedite e falsi scoop. Quel che ci sembra però si possa registrare è una pressoché generale debacle dei mezzi di comunicazione che deve fare riflettere: se si escludono i collegamenti di Radio Radicale e i resoconti di Antimafia Duemila, i grandi quotidiani riservano uno spazio minimo, per non dire inesistente, allo svolgimento dell’ennesimo processo che riguarda la morte di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta.
E non parliamo poi delle tv, tanto quelle del servizio pubblico che le private. Succede così che l’attenzione mediatica subisca dei picchi inaspettati oppure scemi improvvisamente, perdendosi per strada i fatti più importanti.
Risale, infatti, solo a pochi giorni fa la notizia dell’archiviazione disposta nei confronti dei tre funzionari della polizia di Stato, facenti parte del gruppo Falcone-Borsellino diretto dal superpoliziotto Arnaldo La Barbera, del cui coinvolgimento nei servizi segreti si venne a conoscenza dopo la morte. Al termine delle indagini, nulla di penalmente rilevante è stato rilevato a carico di Vincenzo Ricciardi, Mario Bo e Salvatore La Barbera, finiti sotto i riflettori come presunti responsabili delle pressioni violente, agite nei confronti di tre collaboratori di giustizia – Enzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta – perché fornissero elementi di prova utili alla ricostruzione investigativa che il gruppo guidato dall’ex questore La Barbera stava cercando di far convalidare dagli inquirenti.
Una richiesta di archiviazione, quella della Procura di Caltanissetta, presentata durante l’estate e anche questa passata quasi sotto silenzio, dove è stata rievocata la vicenda del depistaggio investigativo, svelato dalle rivelazioni di Gaspare Spatuzza, che aveva causato la condanna di persone innocenti per il reato di strage loro contestato, al termine dei primi due processi per i fatti di via D’Amelio. Una richiesta d’archiviazione, all’interno della quale i magistrati non hanno esitato a bollare come «grave ed inqualificabile la condotta di quegli investigatori che hanno significativamente contribuito ad allontanare la verità processuale, costruendo un castello di menzogne che ha condotto a risultati che lasciano davvero attoniti».
“Un castello di menzogne”: certo perché non può ipotizzarsi che i tre collaboratori di giustizia si siano potuti inventare tutto da soli e, sempre da soli, siano stati capaci di far accreditare una versione dei fatti che ha resistito nei diversi passaggi processuali, fino alla piena confessione di Spatuzza. Sono ancora molti gli interrogativi che restano ancora in piedi. Le ambiguità processuali e le contraddizioni evidenti, la mancanza di spontaneità e di convergenza delle dichiarazioni rese dai tre collaboratori nel riferire delle indebite pressioni hanno però convinto il Gip del Tribunale di Caltanissetta, Alessandra Giunta, ad accogliere la richiesta d’archiviazione.
E ora a quegli inquietanti interrogativi si dovrà cercare di rispondere con una nuova attività investigativa, in ragione della quale l’archiviazione in questione è un passaggio formale dovuto.
Rimane però agli atti del processo la vicenda del presunto “indottrinamento” di Scarantino, inscenato per portarlo a fare la parte del collaboratore di giustizia credibile.
Rimangono agli atti del processo la scelta di Bo e Ricciardi di avvalersi della facoltà di non rispondere, in quanto all’epoca imputati di reato connesso, oltre agli evasivi “non ricordo” di Salvatore La Barbera, anche lui chiamato a rendere la propria versione dei fatti. Un comportamento, del tutto sconveniente a nostro modo di vedere, per funzionari appartenenti a quella Polizia di Stato, alla quale appartenevano anche Emanuela Loi, Eddie Cosina, Agostino Catalano, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, caduti insieme a Borsellino in via D’Amelio.
E veniamo, infine, a parlare dei falsi scoop, come quello avvalorato da alcuni media in concomitanza della deposizione di Lucia Borsellino, resa sempre a Caltanissetta nell’ottobre dello scorso anno.
“La Repubblica” allora pubblicò con grande enfasi la notizia che Borsellino era stato ucciso ventiquattro ore prima di parlare dell’omicidio Falcone, dando per certa la notizia di una sua testimonianza presso la Procura di Caltanissetta, prevista proprio per il 20 luglio del 1992.
Sull’onda di quello scoop, molti ribadirono questa versione, affascinante per la sua capacità di alludere a scenari mai accertati, perdendo di vita i fatti e le testimonianze finora rese davanti al Tribunale nisseno. Anche noi ne abbiamo scritto in quei giorni, dando per certa la notizia e anzi censurando le mancanze dei colleghi che, in quelle ore, piuttosto che scrivere questa notizia, preferirono dare conto delle intercettazioni dell’ex presidente della sezione di misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, contenenti pesanti offese nei confronti proprio dei figli di Paolo Borsellino.
Se, invece, si avesse avuto la pazienza necessaria per guardarsi le carte del processo, si sarebbe potuto trovare che l’unico accenno ad una eventuale deposizione di Borsellino a Caltanissetta, per rendere edotti i magistrati di quanto a sua conoscenza della strage di Capaci, era contenuta nella deposizione di un altro magistrato, Francesco Paolo Giordano, comparso davanti al Tribunale di Caltanissetta nel dicembre del 2013. Giordano così tornava a quel momento, in cui il procuratore del tempo, Giovanni Tinebra, ebbe un’interlocuzione con Borsellino in merito ad una sua testimonianza: «E quindi c’era un discorso che noi ci dovevamo vedere con Paolo Borsellino, e questo discorso era stato fatto da Tinebra, perché Tinebra direttamente con il suo cellulare aveva parlato con Paolo Borsellino, perché c’era un’amicizia, una colleganza, eravamo, diciamo… ci conoscevamo, chiaramente, nell’associazione magistrati, e a un certo momento forse addirittura si… si arrivò ad una… ad un appuntamento che doveva esserci per questo famoso incontro, perché, quindi, il 15 luglio si insedia Tinebra, questo incontro, quindi, doveva esserci sicuramente nella settimana successiva, cioè a dire la settimana che inizia dal 20 luglio in poi, dice: “Ci incontriamo prima delle ferie sicuramente, dobbiamo parlare”, e tutte ‘ste belle cose. Poi, naturalmente, non è stato possibile».
Come questo accenno generico sia diventata certezza assoluta di una data – il 20 luglio – e perché sia stata fornita così la notizia, in concomitanza delle deposizioni dei figli di Paolo Borsellino, resta ancora oggi un mistero. In tanti ci siamo caduti però e questo è segno di come il livello d’attenzione nel nostro mestiere, soprattutto di questi tempi, non debba mai venire meno. Una sola verifica non basta, ne servono spesso altre, prima di procedere.
Anche noi dobbiamo fare pubblica ammenda dell’attenzione non continua e poco scrupolosa che stiamo riservando al processo Borsellino quater, che invece richiederebbe maggiore applicazione. Libera Informazione, in questi mesi di ristrutturazione, non ha la forza e la capacità di seguire quanto avviene nei tribunali del Paese, ma soprattutto quanto avviene fuori dalle aule, a partire proprio dal comportamento tenuto dai mass media sulle vicende di mafia e su quelle dell’antimafia, che sembrano appassionare di più quando la furia iconoclasta viene rivolta nei confronti di quest’ultima più che nei riguardi dei veri nemici: le mafie e la corruzione.
Speriamo di potere rimediare. Speriamo di poterlo fare presto, anche per illuminare una periferia come quella di Caltanissetta che non arriva quasi mai sotto i riflettori dei media.