di Gian Mario Gillio
«Le ragioni di questo rinnovato attacco alla libertà di stampa risiedono anche nella necessità, per i regimi e per la criminalità, di garantirsi anonimato ed oscurità». La nostra intervista a Giuseppe (Beppe) Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi).
Giornalisti minacciati in Italia e costretti a vivere sotto scorta come Lirio Abbate dell’Espresso, per fare un esempio; altri nel mondo detenuti o assassinati come avvenuto al ricercatore Giulio Regeni in Egitto, altri ancora frustati, detenuti come per il giovane blogger saudita Raif Badawi. Un’escalation di recrudescenze e censure contro la libera informazione. Cosa sta accadendo in Italia e nel mondo?
«Gli ultimi rapporti internazionali confermano l’inasprirsi degli attacchi contro i giornalisti. La gran parte delle vittime non cadono in zona di guerra, come nel passato, ma in territori infestati da mafie, criminalità, governi dittatoriali. Non a caso tra i paesi “canaglia” in materia di libertà dei media troviamo il Messico, la Colombia, la Turchia, la Cina, l’Iran. La situazione italiana è segnata dall’alto numero di cronisti minacciati e costretti a vivere sotto scorta per sfuggire alle minacce delle mafie, sempre più aggressive. Le ragioni di questo rinnovato attacco alla libertà di stampa risiedono anche nella necessità, per i regimi e per la criminalità, di garantirsi anonimato ed oscurità. Gli affari, a cominciare da quelli relativi al traffico d’armi e alla tratta degli esseri umani, hanno bisogno di silenzio e di omertà. Chiunque provi ad “Illuminare” questo pianeta diventa un nemico da abbattere, sia esso un cronista, un politico, un religioso, un giudice. Per questo serve una grande solidarietà verso chi contrasta l’oscurità ed il modo migliore è quello di non lasciarli soli, di riprendere le loro inchieste, di illuminare a giorno i territori occupati dai signori della guerra, del terrore, della criminalità».
La Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), insieme ad Articolo 21 (che proprio a Roma, domani alle 17 presso l’Aula Magna della Facoltà valdese di teologia, terrà la sua Assemblea annuale), si adopera da sempre per la difesa della libertà di stampa attraverso dichiarazioni, manifestazioni e in particolare con l’attivazione di sportelli a tutela di giornalisti precari e freelance. Una delle minacce più subdole è la “querela temeraria”. Di cosa si tratta?
«Le “querele temerarie” sono quelle che non hanno l’obiettivo, legittimo, di ripristinare una dignità lesa da una falsa informazione, bensì si propongono di intimidire il cronista con richieste di risarcimento che non hanno nulla a che vedere con l’eventuale diffamazione. Spesso, sempre più spesso, personaggi legati alla criminalità o alla corruzione, scagliano richieste di risarcimenti milionari con l’obiettivo di intimidire il cronista, di indurlo così all’autocensura e alla rinuncia alle inchieste più difficili e delicate. Basterebbe pensare a quante querele temerarie sono state indirizzate contro chi indagava ed indaga su “Mafia capitale”, sulla “Terra dei fuochi”, sugli inceneritori, sul traffico dei rifiuti, sugli intrecci tra mafia e politica. Nella stragrande maggioranza dei casi tali querele vengono archiviate dai magistrati, senza che il temerario debba pagare prezzo alcuno. Per questo, riprendendo vecchie battaglie di grandi amici che non ci sono più, come Roberto Morrione, e grazie all’apporto di esperti della comunicazione come Vincenzo Vita, continuiamo a chiedere che il Parlamento riveda la normativa e preveda una sorta di reato di molestie contro l’Articolo 21 della Costituzione e il diritto di cronaca. Chiunque tenti di bloccare un’inchiesta utilizzando lo strumento della “querela temeraria” deve sapere che, in caso di archiviazione, dovrà lasciare allo Stato o ad un fondo per il pluralismo editoriale, la metà della somma richiesta. Chi vorrà potrà continuare a chiedere 20,30,100 milioni di euro di risarcimento, ma, in caso di sconfitta, dovrà poi aprire il proprio portafoglio, in una sorta di moderna riedizione del contrappasso di dantesca memoria».
Lei, oltre ad essere il presidente della Fnsi è anche il presidente di Giuria del Premio Morrione, dedicato a giovani giornalisti d’inchiesta. Perché ha accettato di presiederlo?
«Perché, in poco tempo, ha conquistato una sua originalità, perché ha l’ambizione di riportare l’attenzione mediatica sulle inchieste, quel genere nel quale si cerca di andare oltre la cronaca, di scendere nelle profondità di una storia, di cogliere quello che spesso non si vede, non si sente, oppure non si vuole vedere e sentire. Sarebbe bello riuscire a mettere insieme tutti i vincitori di questi concorsi e ragionare con loro sul futuro del giornalismo di inchiesta. Roberto Morrione ha lasciato nei cassetti della Rai un progetto per dar vita ad una redazione specializzata nella ideazione e nella produzione di inchieste a tutto campo. Ci auguriamo che il nuovo gruppo dirigente del servizio pubblico voglia riprendere quel progetto oggi ancora più attuale».
Articolo pubblicato su Riforma.it