di Luca Mershed, Italians for Darfur
La Repubblica Centrafricana, un Paese senza sbocco sul mare che conta 4,6 milioni di persone, sembra pronta per un nuovo inizio. Gli elettori sono andati alle urne inizialmente il giorno di San Valentino e poi il 20 febbraio per scegliere il loro Presidente. I rapporti sottolineano che il tutto processo elettivo è stato condotto interamente in tranquillità.
La pace può sembrare più vicina di quanto non lo è stato per anni, ma il neo-Presidente, Faustin-Archange Touadéravince, dovrà confrontarsi con il lungo conflitto che ha avuto inizio più di tre anni fa e che non è ancora finito. I gruppi armati continuano a controllare grandi porzioni di territorio, che rimane, quindi, fuori dalla tutela dello Stato. Più di 900.000 centrafricani sono ancora sfollati, con 465.000 in cerca di rifugio nei Paesi vicini ed i rimanenti 435.000 dislocati all’interno del Paese. Altri 2,7 milioni di persone hanno anche bisogno di assistenza umanitaria, e la metà della popolazione affronta la fame.
Queste statistiche preoccupanti sono il risultato della crisi scoppiata nel dicembre del 2012: quella che la comunità internazionale non è riuscita a evitare e che, nonostante i segnali di pericolo evidenti, non ha risposto in quasi due anni interi. In seguito ad un cessate il fuoco fallito nel gennaio 2013, il presidente François Bozizé è stato rovesciato dall’alleanza ribelle dei Séléka nel marzo 2013. I combattenti del gruppo hanno commesso brutali violazioni dei diritti umani. Le regole imposte dai Séléka hanno portato alla nascita delle milizie anti-Balaka (“anti-machete” nella lingua locale Sango) nell’estate del 2013. Alimentate da rimostranze reali ed altre manipolate verso i Séléka, gli anti-Balaka hanno preso vendetta sui civili a minoranza musulmana del Paese.
L’escalation delle violenze da allora è stata tremenda. Secondo le stime delle Nazioni Unite tra 3.000 e 6.000 persone sono state uccise dal dicembre del 2013, anche se questa cifra è stata spesso “radicalmente sottovalutata”. Circa l’80 per cento della popolazione musulmana della Repubblica Centrafricana è stata deportata o uccisa nella carneficina. Una commissione internazionale d’inchiesta ha definito questa una “politica di pulizia etnica” da parte degli anti-Balaka ed ha accusato entrambi i gruppi armati come responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Universalmente adottata nel 2005, la Responsabilità di Proteggere riguarda la prevenzione del genocidio, dei crimini di guerra, della pulizia etnica e dei crimini contro l’umanità – alcuni dei crimini commessi nel Paese. Ogni Stato ha la responsabilità di proteggere la sua popolazione, e la comunità internazionale ha quella di assistere i Paesi in questo compito. La comunità internazionale deve anche essere pronta a prendere i provvedimenti opportuni in modo tempestivo e decisivo quando uno Stato è manifestamente incapace o non vuole proteggere la sua popolazione.
Eppure, nonostante i chiari avvertimenti della minaccia di crimini e di atrocità di massa nella Repubblica Centrafricana in tutto il 2013, la risposta internazionale è stata in gran parte un fallimento. La costruzione della pace ed il sostegno politico guidato dalle Nazioni Unite si sono rivelati insufficienti ed il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato lento a rispondere.
Solo dopo gli avvertimenti di un potenziale genocidio alla fine del 2013 ed un aumento delle violenze che ha causato più di 1.000 morti nella capitale Bangui, il Consiglio di Sicurezza ha permesso all’ex potenza coloniale, la Francia, di intervenire militarmente, ed all’Unione Africana di istituire una missione di pace a terra ed un’operazione militare diretta dall’Unione Europea nella Capitale. Infine, nel 2014 è stata creata una vera e propria operazione di pace delle Nazioni Unite: MINUSCA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission In The Central African Republic).
L’afflusso di forze di pace ha, senza dubbio, ridotto ulteriori spargimenti di sangue, ma la crisi ha continuato a rimanere senza risposta. Entro la fine del 2013, la situazione aveva già raggiunto un punto critico: i crimini di atrocità di massa diffusi e sistematici, tra cui omicidi sulla base dell’identità religiosa, erano diventati la caratteristica dominante di una catastrofe in rapida espansione.
Le elezioni hanno rappresentato un’opportunità per la comunità internazionale di stare al fianco dei centrafricani per dire no alla violenza attraverso le urne. Assistere il Governo nella protezione dei civili, nella lotta all’impunità, favorire la riconciliazione e porre le basi per una pace duratura saranno il vero test del nuovo Esecutivo.