di Iran Human Rights
Continua l’incessante lavoro del boia nella Repubblica Islamica dell’Iran. Con un record di 969 persone messe a morte nel 2015, l’Iran mantiene il triste primato di Paese con il più alto numero di esecuzioni pro capite al mondo. Il 66% delle impiccagioni è stato comminato per reati di droga. Al patibolo sono finiti anche 3 rei minorenni e 19 donne. E’ quanto si può leggere nel Rapporto annuale sulla pena di morte in Iran 2015, curato da Iran Human Rights (IHR) e presentato presso la Federazione Nazionale della Stampa, a Roma, venerdì 11 marzo.
Secondo i dati raccolti da IHR, le esecuzioni sono avvenute a ritmo serrato, con in media almeno due impiccagioni al giorno. Giugno è stato il mese più sanguinario, con 139 esecuzioni, circa 4 al giorno. L’Iran, inoltre, continua a mettere a morte in pubblico i condannati. Nel 2015 le impiccagioni in piazza, sotto gli occhi di centinaia di persone e, in alcuni casi, alla presenza di bambini, sono state 57.
Il numero di reati punibili con la pena di morte nella Repubblica Islamica dell’Iran è uno dei più alti al mondo. Accuse quali l’adulterio, l’incesto, lo stupro, gli insulti al profeta Maometto e ad altri grandi profeti, il possesso o la vendita di sostanze illecite, la quarta condanna per furto, l’omicidio premeditato, il reato di Moharebeh (dichiarare guerra a Dio), di ifsad-fil-arz (corruzione sulla terra), la truffa e il traffico di esseri umani, sono tutti crimini punibili con la pena capitale.
Circa il 60 per cento di tutte le esecuzioni incluse nel rapporto di IHR non è stato annunciato dalle autorità. Molte delle esecuzioni di cui ha avuto notizia l’Ong sono avvenute in segreto, senza che le famiglie e gli avvocati fossero informati. Nelle regioni a minoranza etnica come il Baluchistan, l’Azerbaijan e il Kurdistan più del 97 per cento delle esecuzioni avviene segretamente e non viene riportato dai media ufficiali.
Iran Human Rights ha registrato, però, anche un dato positivo. Negli ultimi tre anni è aumentato in modo esponenziale quello che viene definito il “movimento del perdono”, cioè i familiari delle vittime di omicidio che decidono di perdonare l’ assassino e di non applicare la legge del taglione. Nel 2015 le persone che hanno ricevuto il perdono sono state 262.
Tuttavia, il quadro che emerge dal Rapporto annuale sulla pena di morte in Iran 2015 non è incoraggiante, soprattutto alla luce della fine delle sanzioni dopo gli accordi di Vienna e dei rinnovati rapporti politici e commerciali tra l’Europa e Teheran. Al nuovo corso economico e al positivo clima di distensione, deve far seguito una maggiore attenzione da parte dei Paesi e delle aziende che dialogano con l’Iran per le violazioni dei diritti umani.
La pena di morte è sicuramente uno dei dati più allarmanti, ma non è il solo. Dall’Iran continuano ad arrivare notizie di arresti, condanne e persecuzioni di giornalisti, artisti, scrittori, poeti, attivisti, di persone che dalle associazioni per i diritti umani sono ritenute, giustamente, prigionieri politici. Le autorità hanno, negli ultimi mesi, costantemente cercato di mettere a tacere le voci di dissenso. Nikan Khosravi e Arash Ilkhani, componenti del gruppo musicale Confess, sono stati recentemente arrestati dalle Guardie Rivoluzionarie iraniane. Dopo essere stati rilasciati su cauzione, sono ora in attesa del processo. E’ ancora in carcere il giornalista riformista Isa Saharkhiz con l’accusa di “atti contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro lo stato” per i suoi articoli e rimane dietro le sbarre, nonostante le sue pessime condizioni di salute, anche il blogger Hossein Ronaghi Maleki, condannato a 13 anni di prigione per i suoi post e per le sue attività per i diritti umani. Non meno preoccupanti sono le condizioni di salute di Narges Mohammadi, una delle più importanti attiviste per i diritti civili e vicedirettore dell’associazione messa al bando Centro per i difensori dei diritti umani, nonché uno dei fondatori del gruppo della società civile Passo dopo passo per fermare la pena di morte (LEGAM). Mohammadi è accusata di crimini contro la sicurezza nazionale. Così come resta in prigione anche la giovane vignettista Atena Farghadani, condannata a 12 anni e nove mesi di detenzione per le sue vignette. Ci si può, invece, ancora mobilitare per evitare che Keywan Karimi, condannato in via definitiva a 1 un anno di carcere, 223 frustate e 600 euro di multa per il suo film “Writing on the city”, finisca dietro le sbarre (firma l’azione urgenti di Amnesty International).
Tutti abbiamo visto e letto come l’Italia ha accolto il presidente iraniano Hassan Rouhani in occasione della sua prima visita ufficiale in Europa dopo gli accordi di Vienna. Il dialogo tra Roma e Teheran è cordiale e amichevole, all’orizzonte si intravedono proficui accordi economici per entrambi i Paesi. Perché, allora, non pensare che questo clima di distensione possa giovare anche alla questione dei diritti umani in Iran e contribuire a migliorare la vita dell’intero popolo iraniano? L’Italia e l’Europa possono svolgere un ruolo fondamentale.