di Elena De Zan, Cospe
“Non è facile essere donna leader dei movimenti di resistenza indigena. In una società incredibilmente patriarcale le donne sono estremamente esposte, devono affrontare circostanze molto rischiose, campagne maschiliste e misogine. Il machismo si trova in ogni aspetto dell’esistenza. Questa è una delle cose che può più pesare nella scelta di abbandonare la lotta”: queste sono le parole che Berta Cáceres pronunciava poco meno di un anno fa in un’intervista rilasciata a Eldiario. Parole di consapevolezza della difficoltà di essere non solo un’attivista, ma soprattutto una donna in lotta contro tanti poteri forti, primo fra tutti quello maschile. Nonostante le avversità e la paura Berta però ha continuato a lottare, fino al giorno della sua morte, avvenuta pochi giorni fa: il 3 marzo, verso l’una di notte (19 ora italiana) è stata assassinata mentre dormiva nella sua abitazione a La Esperanza, da uomini armati non identificati.
Berta Cáceres era una popolare leader ambientalista, attiva da oltre 20 anni nell’organizzazione COPINH (Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras) fiera difenditrice dei diritti dei popoli indigeni e dei piccolo agricoltori, che ha dedicato la sua vita alla difesa della terra, opponendosi alla violenza e a tutte le forme di dominazione, dal capitalismo, al patriarcato al razzismo.
Le sue lotte per una maggiore giustizia sociale, in difesa dell’ambiente e dei diritti umani (in particolare contro la privatizzazione e lo sfruttamento dei fiumi e delle miniere da parte di multinazionali) hanno ispirato non solo gli attivisti locali, ma anche quelli dell’America latina e di tutto il mondo tanto da ricevere nell’aprile 2015 il “Goldman price”, uno dei premi più prestigiosi a livello mondiale per l’attivismo ecologista.
La morte di Berta è stata una tragedia annunciata: più volte ha ricevuto minacce di stupro, di linciaggio e di morte non solo nei suoi confronti, ma anche rivolte ai suoi familiari.
Berta non è l’unica attivista assassinata in Honduras, la sua stessa sorte è infatti toccata a molti altri militanti: come si evince dal rapporto “¿Cuántos más?“dell’ONG Global Witness dal 2002 al 2014 sono stati 111 gli attivisti ambientali uccisi. Di questi molti erano attivisti vicino a Berta: nel 2013 in Honduras sono state ammazzate tre donne che lottavano accanto a lei contro la diga di Agua Zarca sul fiume Gualcarque e solamente la settimana scorsa Cáceres ha denunciato l’uccisione di quattro attivisti indigeni nel silenzio generale. Ma secondo l’organizzazione honduregna ACI-PARTICIPA (Asociación para la participación ciudadana en Honduras) più del 90% delle morti e delle violenze rimangono impunite.
Proprio come Berta, altre donne in tutto il mondo rischiano la vita per essersi opposte alle ingiustizie, ai soprusi alle violenze di genere. In molti Paesi le donne vengono ancora discriminate, subiscono violenza fisica e psicologica a causa di retaggi di tradizioni, culture e società maschiliste.
COSPE ha deciso di lottare al fianco di queste donne, promuovendo i loro diritti per combattere insieme contro ogni forma di violenza di genere e sostenendo associazioni e gruppi di attiviste in tutto il mondo: dalla Tunisia all’Egitto, dalla Palestina all’Afghanistan. Qui in particolare, dove come per Berta essere attivista e donna costituisce un doppio pericolo, COSPE collabora con l’associazione Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan (HAWCA) che fornisce assistenza legale e fornisce protezione alle donne nei Centri antiviolenza a Kabul ed Herat e sostiene une rete di attivisti, difensori dei diritti umani, ad alto rischio.