di Valerio Cataldi
“Io sono musulmano e penso che ognuno di noi ha diritto a vivere in pace. Possiamo pregare insieme e chiedere a Dio di salvare l’umanità. Ognuno alla sua maniera“. Sira viene dal Mali e in un ottimo italiano imparato in poco più di un anno e mezzo, sa dire parole semplici e sensate che fanno bene nei giorni drammatici di Bruxelles. Sira è nato in Mali ed è scappato da una guerra scatenata dalle stesse forze che hanno colpito in Belgio. È scappato dal fronte africano nel nord del Mali nel quale le forze jihadiste stanno cercando di conquistare terreno già da alcuni anni. Ha portato al sicuro la sua famiglia e poi ha viaggiato fino in Italia per cercare rifugio e protezione per se e per sua moglie ed i suoi figli.
Sira è emozionato, dice che la sua vita cambierà, il Papa laverà i suoi piedi e quelli di altri undici rifugiati scappati dall’Eritrea, dal Pakistan, dall’India, dalla Nigeria, dalla Siria.
“Papa Francesco, Papa Francesco“, Luchia sorride, fatica un po’ a pronunciare il nome e a trattenere l’emozione. Luchia è cristiana copta, stringe al petto la bambina che aveva in grembo quando era in prigione in Libia e che ha partorito quando finalmente è arrivata in Italia ad ottobre. L’ha chiamata Merhawit, che significa speranza. “Non so bene cosa succederà. So che ci sarà una messa ed il lavaggio dei piedi. So che Gesù l’ha fatto ai suoi apostoli e che domani il Papa lo farà a me. È un grande onore”. Luchia è scappata dalla dittatura eritrea. Aspetta di essere “ricollocata” in Europa sulla base di quegli accordi di distribuzione dei rifugiati che i paesi europei non hanno mai davvero fatto partire. Dovevano accoglierne centoventimila provenienti da Italia e Grecia, ma da settembre ad oggi ne è partito solo qualche centinaio. Scappano da guerre, dittature e dall’orrore che più ci terrorizza in questi giorni della strage di Bruxelles, ma nessuno in Europa vuole davvero farsene carico. “Nessuno vuole assumersi la responsabilità del loro destino“, le ultime parole del Papa, la sola voce che non smette mai di schierarsi dalla parte degli ultimi contro la “globalizzazione dell’indifferenza”.
Ci sono quasi 900 persone nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto. Aspettano da mesi, alcuni da anni una risposta alla richiesta di asilo. I tempi medi sono drammatici: otto, dodici mesi di attesa. E i dinieghi sono in aumento, domande rigettate sulla base del paese di provenienza e non della storia personale, della persecuzione dalla quale la maggioranza di loro sta scappando. “Fanno tutti ricorso e l’80 per cento vince e ottiene lo status di rifugiato, ma aspetta ancora una media di un anno e mezzo due anni. Alla fine il conto fa tre, quattro anni di apnea durante i quali la legge gli impedisce di lavorare, di guadagnare soldi per mantenersi, di cominciare a vivere indipendentemente“. Floriana Lobianco, dirigente della cooperativa Auxilium che gestisce il centro, dipinge un quadro drammatico, e poi spiega che l’arrivo del Papa a Castelnuovo di Porto è un segno di grande speranza per tutti, “un privilegio”.
“Io sono una persona semplice, non ho neanche finito gli studi, eppure potrò incontrare un personaggio più importante del Presidente. Son fiero di essere il primo siriano ad incontrare Papa Francesco, è una grande emozione” dice Mohamad, che è scappato dalla Siria perché ricercato dal governo di Bashar al Assad. Era uno degli oppositori come quasi tutti nella sua città, ora è a Roma e aspetta di essere “ricollocato” in Europa.
Sono tutti sorpresi di questo “regalo” che hanno ricevuto. “Non posso credere che il Papa laverà i miei piedi” dice Khurram che si stava laureando in ingegneria quando è scappato dal Pakistan e dalle minacce degli integralisti islamici. Incredulo anche Kunal che ha attraversato mezzo mondo a piedi per sfuggire ad una banda di criminali che in India voleva ucciderlo per prendere i suoi organi e venderli sul mercato nero.
Ognuno ha il suo persecutore da cui cerca rifugio e protezione. E mentre l’Europa alza muri e costringe i rifugiati a vivere e a nascere nel fango e stringe accordi con paesi che non sanno cosa sia la democrazia come la Turchia per deportare in massa chi sopravvive al mare e approda in Europa, a Castelnuovo si celebra la solidarietà con “un gesto di grande umiltà che dovrebbe fa riflette tutto il mondo” dice Angela, operatrice della cooperativa Auxilium, la sola italiana dei dodici cui il Papa laverà i piedi. “Da domani diventerò un’altra persona”, dice Sira. “L’uomo più forte, più grande e più gentile del nostro pianeta mi laverà i piedi. L’uomo che ha sempre un pensiero per noi che soffriamo a causa della guerra e della dittatura, che non abbiamo niente da mangiare. Sono senza parole.”