di Eva Alberti, Susanna Combusti, Silvia Ricciardi, Federico Thoman (autori dell’inchiesta “Bestiario criminale”, finalisti edizione 2015 del Premio Roberto Morrione)
Ogni anno, in Africa, più di 30 mila elefanti sono uccisi illegalmente dai bracconieri. L’obiettivo di queste azioni infami sono solamente le zanne. O, in una parola, l’avorio. Considerando che di elefanti rimasti, nel continente africano, se ne contano ormai soltanto 350 mila, è abbastanza veloce il calcolo su quanti anni restino alla specie prima dell’estinzione.
Una decina, al massimo, se le cose non cambieranno drasticamente. Per questo, finalmente, anche l’Italia si è decisa a dare un segnale forte. Lo scorso 31 marzo si è tenuto a Roma il primo “Ivory Crush” italiano, al Circo Massimo. Una manifestazione pubblica che vuole sensibilizzare contro il traffico clandestino di “oro bianco”. Quella degli “Ivory Crush” è una pratica diffusa in molti Paesi da diversi anni a cui l’Italia, come al solito, si è unita in ritardo. Ma, a ogni modo, il ministero dell’Ambiente ha voluto dare un segnale nuovo: con l’aiuto della ong Elephant Action League e in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e con l’ufficio «Cites» del Corpo Forestale. Mezza tonnellata di avorio confiscato, tra zanne intere e oggetti lavorati, è stata polverizzata dai bulldozer.
L’AVORIO E L’ITALIA
La video inchiesta “Bestiario Criminale”, finalista dell’edizione 2015 del premio Roberto Morrione, ha fatto luce su alcuni punti chiaroscuri che il traffico globale di flora e fauna implica per il nostro Paese. Che ruolo ha l’Italia nel traffico illecito globale di specie protette? Quali sono i suoi settori produttivi più esposti? Lo Stato come cerca di combattere questi crimini? Nello specifico, il traffico di avorio è quello più noto e suo malgrado spettacolare nell’immaginario collettivo, anche per chi non si interessa di questi temi. La ricerca spasmodica delle zanne di elefante sta portando rapidamente una specie che un tempo aveva milioni di esemplari verso l’estinzione. Il nostro Paese, fino a oggi, aveva mantenuto un atteggiamento a detta di molti attivisti ambiguo sull’utilizzo dell’avorio sequestrato. La conservazione di decine di tonnellate di “oro bianco” nei magazzini del servizio “Cites” del Corpo Forestale è stata infatti molto criticata. In “Bestiario Criminale” era stata sollevata, tra le altre, la questione del perché le autorità italiane lasciassero decine e decine di quintali di avorio a prendere polvere negli scaffali. «L’unica finalità per le zanne e gli oggetti lavorati ammassati – questa la risposta delle autorità – è quella didattica e scientifica». Ma per questo scopo basterebbe una quantità irrisoria, non certo delle tonnellate. Per questo, la manifestazione “Ivory Crush” di Roma potrebbe davvero segnare un cambio di passo. L’avorio sequestrato non ha alcun valore, se non quello di 500/1000 euro al chilo per chi lo vorrebbe contrabbandare. Distruggerlo è quindi un segnale forte, potente tanto dal punto di vista simbolico che materiale. Ci auguriamo, perciò, che “Ivory Crush” non resti un episodio isolato.