Europarlamento si mobilita per Asia Bibi

25 Maggio 2016

di Antonella Napoli

 

È partita oggi, su iniziativa del vicepresidente del Parlamento Europeo con  delega al dialogo interreligioso, Antonio Tajani, la raccolta firme tra gli europarlamentari contro l’esecuzione della pena capitale e  per la liberazione di Asia Bibi, madre di cinque figli  condannata per blasfemia in Pakistan nel 2010.
Dovrebbero essere in molti, viste le tante battaglie già intraprese contro la persecuzione dei cristiani a Bruxelles, a sottoscrivere la dichiarazione presentata da Tajani, sia eurodeputati di varie nazionalità che di diversi gruppi politici. L’obiettivo è di raccogliere in tre mesi  le firme della metà più uno dei membri del Parlamento europeo .
Oltre  questa soglia, la dichiarazione avrà giuridicamente l’effetto di una  vera petizione e sarà inviata all’Alto rappresentante dell’Unione europea  e alla Commissione europea per intraprendere tutte le azioni politiche  e diplomatiche necessarie per la liberazione di Asia Bibi e per la  promozione del rispetto della libertà  religiosa in Pakistan.
L’Europa dunque non resta in silenzio  davanti all’ingiusta prigionia della Bibi, in carcere da 7 anni. La donna è divenuta un simbolo della persecuzione  di cui sono vittime i cristiani in tutto il mondo.
Impedire che sia  eseguita una condanna a morte per un reato inaccettabile e  inesistente è un dovere di tutti, cristiani e non. Ne  è convinto  il vicepresidente del Parlamento europeo che  annunciando l’avvio della raccolta delle firme ha ricordato che il 4 novembre 2014 una folla di 1500 persone in Pakistan  bruciò viva una coppia accusata di blasfemia e due mesi  fa, durante le festività di Pasqua, migliaia di  estremisti islamici hanno manifestato davanti ai palazzi del governo a Islamabad chiedendo la piena applicazione della Sharia e l’esecuzione  della prigioniera sulla base di accuse prive  di riscontro basate sulle dichiarazioni di un gruppo di donne musulmane che l’avevano denunciata alla polizia giorni dopo presunte offese al Corano.
Da quando è stata arrestata nel 2009, la donna è stata tenuta in quasi totale isolamento allo scopo di proteggerla. La sua salute mentale e fisica è andata deteriorandosi durante la permanenza in carcere. La sua famiglia e gli avvocati continuano a temere per la sua sicurezza. Nel dicembre 2010, un religioso islamico di primo piano ha offerto mezzo milione di rupie pakistane (circa 4000 euro) a chiunque l’avesse uccisa.
Eppure la Bibi non avrebbe nemmeno dovuto essere imprigionata, visto che le leggi sulla blasfemia sono incompatibili con gli obblighi internazionali del Pakistan di garantire i diritti alla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione.
La Sharia (la legge islamica) è però ancora utilizzata per risolvere le controversie personali e coloro che sono accusati di blasfemia diventano bersaglio di violenza. 
Anche se da quando le nuove leggi sulla libertà religiosa sono entrate in vigore in Pakistan nessuno è stato giustiziato, decine di persone di diverse comunità religiose, tra cui musulmani, sono stati attaccati e uccisi da privati dopo essere stati accusati di blasfemia, alcuni anche durante la detenzione.
Sul caso di Asia Bibi si è da subito mobilitata Amnesty International che ha lanciato una campagna per chiedere la liberazione e la garanzia di misure efficaci per garantire la sua sicurezza e quella della sua famiglia.
L’organizzazione per i diritti umani ha anche inviato una lettera aperta al primo ministro pakistano per sollecitare una riforma della legge sulla blasfemia e fornire salvaguardie contro il suo abuso, in vista dell’abrogazione definitiva della stessa. Ma finora poco è cambiato,
L’auspicio, ora, è che l’iniziativa europea possa prima di tutto portare alla sospensione della pena della Bibi ma anche sollecitare le istituzioni del Pakistan ad assumere provvedimenti concreti a tutela delle minoranze religiose, costantemente a rischio nel Paese.