di Paolo Borrometi
Le mafie alzano la testa e noi abbiamo un unico modo per contrastarle: non abbassarla e fare squadra, abbandonando la cultura dell’Io ed abbracciando quella del noi, tutti insieme.
Le notizie che arrivano dalla “mia” Ragusa sono drammatiche. Da pochi giorni è balzata agli onori delle cronache una vile aggressione che un magistrato della Procura Iblea ha subito, con conseguente ed immediata disposizione di una tutela.
Aggredire un magistrato, ma ci rendiamo conto?
Uno di quei magistrati che, con coraggio e professionalità, cerca di far luce su aspetti fino ad oggi troppo poco chiari di quella realtà italiana, così lontana da Roma (geograficamente) ma così vicina per gli affari.
Vittoria, nel ragusano, terra meravigliosa più a sud di Tunisi, è la “testa” del mostro delle agromafie. E’ da qui che i caporali iniziano la filiera dell’agromafia.
Un sistema certosino (LEGGI LA NOSTRA INCHIESTA) dal quale vengono immesse nella filiera nazionale frutta e verdura che poi arrivano sulle nostre tavole, tramite il “triangolo dell’ortofrutta”, Vittoria, Fondi e Milano.
Da questo triangolo arriva un pomodoro ciliegino, una melanzana o un frutto, sulla tavola di un milanese, di un veneto, di un romano. Indistintamente.
Provengono dal lavoro e dal sudore della fronte di imprenditori e di braccianti agricoli che, per la stragrande maggioranza, sono onesti lavoratori, ma la contaminazione mafiosa inizia dalla base, sin da subito dopo la raccolta.
Qui, in questa Terra, le mafie hanno imparato a non farsi la guerra, comprendendo che dividersi i compiti è molto più redditizio.
Le mafie diventano una vera e propria holding: Stidda e Cosa Nostra si dividono gli affari locali, gestendo i piccoli padroncini, il confezionamento dei prodotti, il lucroso “affare della plastica” (cioè lo smaltimento delle coperture di migliaia di serre e non solo…) e la filiera del Mercato di Vittoria.
La Camorra (sarebbe più giusto parlare dei Casalesi) gestisce i trasporti (sul punto giova ricordare il processo “Paganese”, cioè la condanna per Gaetano Riina – fratello del capo dei capi, Totò – ed i Casalesi, per il patto dell’ortofrutta) e la ‘Ndrangheta gestisce la cocaina che, insieme alle armi, spesso trova ospitalità proprio sui camion dell’ortofrutta.
C’è solo un modo per interrompere questo andazzo: fare realmente squadra, smettere di considerare le agromafie come “criminalità di livello inferiore” e lottarle come fenomeno complessivo e nazionale, uscendo dal “local”.
Fino ad oggi si è cercato di contrastare il fenomeno delegando la questione agli inquirenti dei territori che, seppur con impegno, non possono avere una visione “globale”.
Si deve andare oltre, denunciare a livello nazionale, ognuno col proprio ruolo: giornalisti, imprenditori, lavoratori e cercare realmente di porre fine a questo andazzo criminale.
Ecco, sarà questo il miglior modo per esprimere la “nostra solidarietà” al Magistrato aggredito, al di là dei proclami solidaristici.