di Antonella Napoli
Il 25 gennaio spariva nel nulla in Egitto Giulio Regeni, ricercatore italiano ritrovato poi morto il 3 febbraio lungo una strada periferica che dal Cairo si estende fino ad Alessandria. Il 25 giugno, a cinque mesi dalla sua scomparsa, e il 26, data in cui ricorre la Giornata internazionale per le vittime della tortura, Amnesty International ha promosso una mobilitazione per riportare all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica il caso Regeni.
Articolo 21 e Federazione Nazionale della stampa hanno già aderito all’iniziativa e contribuiranno con una forte presenza durante la Twitter action organizzata per continuare a chiedere a gran voce “Verità per Giulio Regeni.
Finora da parte del governo egiziano non è stata riscontrata una reale collaborazione, anzi. Dal ritrovamente del corpo del giovane friulano è stato un susseguirsi di depistaggi e di menzogne ai quali la società civile italiana ha risposto con una partecipata mobilitazione: oltre 400 tra enti locali, media, università e associazioni, e tanti, tantissimi cittadini, hanno aderito alla campagna lanciato Da Amnesty insieme al quotidiano ‘La Repubblica’.
Il 25 e il 26 giugno saremo presenti sulla rete sia per supportare la campagna per Giulio ma anche per dare visibilità a tutte le altre vittime di soprusi e violazioni dei diritti umani in Egitto, tra cui Ahmed Abdallah, consulente al Cairo della famiglia Regeni arrestato lo scorso aprile.
L’attivista, presidente della Commissione egiziana per i diritti umani, ha iniziato ieri uno sciopero della fame per protestare contro il protrarsi della sua detenzione preventiva. Ad annunciarlo l’avvocato di Abdallah, Anas al-Sayyid, che in un’intervista ad Aki-Adnkronos International ha raccontato come il suo assistito sia convinto dell’insensatezza della sua detenzione.
La polizia aveva prelevato Ahmed dalla sua abitazione il 25 aprile, nell’ambito di una retata preventiva in vista delle manifestazioni contro l’accordo con cui l’Egitto si era impegnato a cedere all’Arabia Saudita due isole nel Mar Rosso, Tiran e Sanafir.
Il 5 giugno la sua detenzione è stata protratta di altri 45 giorni, ma il 21 giugno il Consiglio di Stato egiziano ha dichiarato nulla l’annunciata cessione.
Alla luce di questo, sostiene l’avvocato di Abdallah in sua vece “ritiene che la sua permanenza in carcere sia priva di senso” e sabato prossimo sarà presentato un ricorso contro il prolungamento della sua carcerazione.
Intanto dall’Egitto è arrivato un violento attacco ad Amnesty international per aver chiesto alla Farnesina di riprendere in mano il caso Regeni in vista appunto del 25 giugno.
Il portavoce del ministero degli Esteri del Cairo, Ahmed Abu Zeid, ha parlato di “un approccio inaccettabile” da parte dell’organizzazione, che ha sempre criticato la situazione nel paese attraverso rapporti periodici.
“Mi chiedo – ha affermato Zeid – come mai Amnesty non abbia criticato la mancanza di collaborazione che l’Universita’ di Cambridge ha dimostrato nelle indagini e il suo rifiuto di fornire agli avvocati tutte le informazioni che potrebbero aiutare a risolvere il caso”.
A far arrabbiare particolarmente il Cairo è stata la lettera inviata nei giorni scorsi dall’organizzazione al ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, e al presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Amnesty, attraverso la missiva, esprimeva preoccupazione per la mancanza di significativi progressi nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità per la tragica uccisione di Regeni.
In tutti questi mesi, sottolinea inoltre l’ong, il ricorso alla tortura e alle sparizioni restano pratica diffusa nelle struttture detentive egiziane ed è stata intensificata la persecuzione di attivisti e difensori dei diritti umani, tra i quali anche due consulenti dei legali della famiglia del ricercatore italiano.
Tutto ciò, secondo Amnesty, Roma dovrebbe farlo presente anche sul piano europeo nel contesto dell’accordo di associazione tra Ue ed Egitto, che prevede il rispetto dei diritti umani.
Gli attivisti avevano molto apprezzato le prime azioni del governo italiano sul caso, compreso il richiamo dell’ambasciatore in Italia, ma ritengono che, peggiorato il quadro, vada fatto di più sul piano delle relazioni bilaterali.
La scorsa settimana erano stati i genitori di Giulio a chiedere, durante un’audizione al Parlamento europeo, un forte intervento sugli organismi internazionali affinché adottassero una dichiarazione sulla vicenda del figlio e sulla situazione delle violazioni nel Paese nordafricano, in particolare in seno al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.
Amnesty va oltre e spinge affinché si predisponga una misura nell’ambito del quadro della Convenzione dell’Onu contro la tortura del 1984, di cui Italia ed Egitto sono stati firmatari L’articolo 30 prevede infatti che, a fronte di una controversia relativa all’applicazione della Convenzione, ogni stato coinvolto possa promuovere – nell’ordine – un negoziato, un arbitrato internazionale e, infine, un ricorso unilaterale alla Corte internazionale di giustizia.
Raccogliendo l’appello di mamma Paola e papà Claudio, che chiedono di non smettete di pretendere verità per Giulio, è un dovere di tutti noi sostenere questa, come le altre iniziative tese ad ottenere risposte sulle responsabilità dell’omicidio del ricercatore italiano.
Il 25 e il 26 giugno, insieme, dobbiamo e possiamo scatenare una tempesta di tweet per rilanciare l’azione di Amnesty e di tutti coloro che continuano a chiedere #veritapergiulioregeni.