di Vincenzo Vita
Un raggio di sole, per dirla con Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. Così appare la piccola riforma dell’editoria, approvata in via definitiva in terza lettura dalla Camera dei deputati: rispetto all’inquietante scenario che la post-democrazia dei e nei media ci sbatte in faccia. Tanto per dire, il centro studi del Parlamento europeo denuncia il peso minaccioso sulla libertà di informazione della debolezza economica del settore. E l’ultimo rapporto del Censis ci offre un quadro disperante, con i quotidiani in caduta libera: -26,5% dei lettori tra il 2007 e il 2016 con una riduzione continua del consumo, ora al 40,5% degli italiani rispetto al 97,5% della televisione e alla crescita di Internet. Insomma, piove a dirotto e si avvicina l’inverno del nostro scontento. Insomma, la legge varata rischiara un po’ l’orizzonte, ma solo un po’.
Il testo non è stato modificato, rispetto alla versione approvata dal Senato lo scorso 15 settembre e già commentata da il manifesto. A parte le considerazioni specifiche, quello che rimane inquietante ed emblematico è la quantità di deleghe al governo contenute nell’articolato, nonché di regolamenti. Indispensabili per mettere in moto una macchina che, quindi, al momento è solo ai blocchi di partenza mentre il traguardo rimane lontano. E saranno guai, se l’istituito Fondo per il pluralismo e l’innovazione non verrà immediatamente rimpinguato, essendo oggi vicino allo zero. Paradossalmente, le norme di immediata entrata in vigore riguardano la Rai. Il riferimento è al rinvio al 31 gennaio della nuova concessione con lo Stato e al tetto per gli stipendi di 240.000 euro. Quest’ultimo è ormai in vigore e va applicato senza furbizie.
Tuttavia, la delusione viene dall’evidente spiazzamento rispetto alla cruda fotografia della realtà. Si è sempre criticata la routine giuridica per la sua tendenza alla riproduzione conservativa dei fatti. Qui è peggio. Il rapporto con gli sconvolgimenti in atto o non esiste o è solo virtuale. Nulla si fa a fronte dei grandi aggregatori di contenuti, i veri editori-oligarchi dell’era digitale. Non aver messo gli occhi nell’epoca giusta su temi come il copyright o il diritto all’oblio espone il dopo-analogico a turbolenze enormi. Per non parlare del capitolo cruciale della privatizzazione della conoscenza determinato dal crescente e incontrollato predominio degli algoritmi. E poi, risulta ormai inadeguata la fisiologia dei vincoli antitrust, visto l’arrembaggio in corso. Tra l’altro, è persino imbarazzante assistere alla repentina “caduta degli dei”. Il glorioso gruppo “Espresso-Finegil” deve cedere testate locali per rientrare nel tetto della l.416 dopo l’unificazione tra “Stampa” e “Repubblica”, ma chi sono gli acquirenti? L’assurda vicenda de “La Città” di Salerno, ceduta ad una cordata di imprenditori tra cui figura quello del quotidiano campano “Metropolis” dove due giornalisti sono stati aggrediti ed altri insultati, è una terribile avvisaglia che prefigura un rinnovato medioevo. O, su un altro versante, le botte da orbi che si segnalano nella crisi del “Sole 24 Ore” ci ammoniscono su una certa inattendibilità dello stesso tabernacolo del capitalismo italiano, che nel quotidiano economico ha la sua storica epifania.
Se è giusto, quindi, salutare positivamente il passaggio della riforma, è altrettanto doveroso non lasciarsi andare ai festeggiamenti. Se mai, la gioia effimera si trasformi in un progetto di effettivo riordino del sistema, risucchiato altrimenti verso le zone basse del villaggio globale.