di Comitato 3 ottobre
A presiedere l’aula c’è il leghista Roberto Calderoli. È lui a dire che il Senato approva, poi scuote il campanello e chiude la seduta. Solo guardare lui che aveva chiamato “orango” il ministro Cecile Kyenge, è già una vittoria o almeno una bella soddisfazione. I 9 voti contrari sono del suo gruppo, ma sono pochi. Dalle undici del mattino del sedici marzo 2016 la Giornata della Memoria per le vittime delle migrazioni è legge dello Stato. Verrà celebrata il 3 ottobre e servirà a ricordare, a programmare un lavoro lungo un anno in tutte le scuole per cercare di capire e di conoscere le storie delle persone che vengono dal mare.
L’avevamo pensato in quei giorni di ottobre, mentre si contavano i cadaveri che il mare restituiva per una settimana intera lasciando alle coscienze il tempo di abituarsi all’idea della morte che entrava negli occhi, nelle orecchie, nel naso. Attraverso i racconti dei superstiti emergevano i dettagli di una tragedia che aveva la forma di un delitto. Quelle due barche mai identificate che si erano avvicinate al barcone in panne, quei fari che li avevano illuminati senza prestare ascolto alle richieste di aiuto, abbandonandoli poi al buio di una notte senza luna, a pochi passi dalla costa di Lampedusa, la salvezza, l’Europa. C’è una inchiesta ancora aperta su quel mancato soccorso alla procura di Agrigento che, forse, prima o poi ci permetterà di sapere di più.
Ma in quei giorni il delitto più grande veniva compiuto pochi giorni dopo la strage. Ad Agrigento venivano celebrati “funerali di stato” a cui i superstiti non erano stati invitati, lasciati dietro il cancello del centro di accoglienza di Lampedusa. C’erano invece i rappresentanti dell’ambasciata Eritrea a stringere le mani del ministro dell’Interno e a subire la rabbia di una buona parte di eritrei arrivati da tutta Europa per chiamare assassino l’ambasciatore e i suoi collaboratori che in quei giorni cercavano di schedare superstiti e morti. Sgherri di una dittatura sanguinaria pronta a vendicarsi del tradimento sulle famiglie rimaste in Eritrea di chi era annegato durante la fuga.
Una violenza intollerabile cui Giusi Nicolini, il sindaco di Lampedusa, contrapponeva la reazione dell’isola: “per Lampedusa il 3 ottobre sarà il giorno del ricordo e spero che lo sia per il paese e per l’Europa”. Intorno a quelle parole ci ritrovavamo con l’intenzione di produrre un risultato, un pugno di persone che testardamente hanno insistito fino ad oggi. Alcuni hanno scelto una strada diversa, ma ognuno ha dato il suo contributo per arrivare a questo giorno che è un successo di tutti.
Abbiamo lavorato a lungo. Abbiamo ottenuto prima la definizione di una procedura precisa per il riconoscimento delle salme attraverso il Dna, poi abbiamo portato superstiti e familiari sull’isola a celebrare e a dare un senso al loro dolore che si incontrava e si scioglieva nell’abbraccio con l’isola e i lampedusani che li avevano prima soccorsi, poi protetti e ascoltati.
Abbiamo mantenuto quel legame organizzando per due anni la commemorazione e riuscendo faticosamente a trovare soldi sufficienti per il viaggio di superstiti e familiari delle vittime dai paesi del nord Europa a Lampedusa grazie al contributo generoso di molte organizzazioni umanitarie. Li abbiamo visti partire “clandestini” dopo la strage e li abbiamo visti tornare cittadini europei, con in mano quel passaporto che gli è quasi costato la vita e per il quale molti altri sono morti.
Oggi parte di quell’impegno nato ad ottobre 2013 è concluso. Ma questo è solo un nuovo inizio, anche se arriva con un ritardo intollerabile. Sono passati 854 giorni dal naufragio di Lampedusa, oltre due anni. Si riparte dal 3 ottobre per ricordare, per facilitare lo scambio di esperienze che vengono da lontano con quelle dei ragazzi di Lampedusa prima e di tutta Europa poi.
Nessuno di noi si illude che la giornata della memoria possa fermare la strage. Ma che ci sia un appuntamento dedicato alla riflessione e alla conoscenza è già un importante passo avanti. Quello che la legge può fare è mettere in moto una riflessione collettiva che aiuti a capire chi sono le persone che vengono dal mare per iniziare dalle scuole a costruire la cultura dell’accoglienza.
Anche se oggi il mondo è diverso. Anche se oggi prevale l’egoismo che fa alzare muri che costringono chi scappa a cercare strade sempre più pericolose e a finanziare le mafie dei trafficanti. Anche se oggi prevale la politica del filo spinato.
È da qui che adesso si riparte. E si comincia a costruire ponti di dialogo e di accoglienza.