di Vincenzo Vita
Finalmente, il sottosegretario Giacomelli ha parlato concretamente della convenzione Stato-rai, in scadenza il prossimo 6 maggio. Si tratta dell’atto fondamentale per l’azienda, senza il quale l’intero apparato cessa di avere funzioni e specificità proprie del servizio pubblico, per passare alla normale lista delle società di broadcasting. Le parole sono state pronunciate nel corso dell’audizione presso la competente commissione del senato. Rimane incomprensibile il motivo del ritardo, che inesorabilmente comporterà un rinvio della scadenza, attraverso un intervento legislativo di proroga (sei mesi?). Incomprensibile e persino oscuro, tanto da legittimare il sospetto che non fosse uno slittamento tecnico, bensì una scelta propedeutica ad un secondo movimento: l’asta su talune delle missioni storicamente assegnate alla Rai. In verità, nulla di nuovo sotto il sole. Da anni dietro il buco della serratura di viale Mazzini si celano sguardi indiscreti di privatizzatori più o meno espliciti, spesso nascosti sotto la supercazzola immaginata in qualche studio legale nel 1998, quando il tentativo di riforma del centrosinistra fu respinto dal fuoco nemico e da quello amico proprio con la proposta di trasformare due reti televisive in canali pubblico-commerciali. Il vento del liberismo abborracciato ha sempre percorso la discussione e, forse, pure nell’annunciato rinvio si può intravvedere i segni di un conflitto.
Torniamo all’oggi. E’ stata annunciata una road map impegnativa e serrata. Entro la metà di aprile saranno convocati tavoli tematici dopo un primo confronto diretto con i principali stakeholders –associazioni, gruppi- rappresentativi di mondi diversi. A seguire, con la consulenza dell’Istat, vi sarà la consultazione pubblica on line sul sito del governo sulla base dei quesiti affinati nella prima parte del procedimento. Altre iniziative omologhe dell’esecutivo non hanno suscitato passioni di massa. Tuttavia, stiamo a vedere. Va ricordato, però, che lo scenario dei media è talmente cambiato, da rendersi urgente un prologo generale. Il governo deve innanzitutto chiarire agli interlocutori che ascolterà qual è la sua intenzione: rafforzare o indebolire il servizio pubblico. Non è lecito essere elusivi e ogni dubbio va sciolto. L’epoca delle numerose piattaforme diffusive e dell’affermarsi delle culture della rete chiede un aumento dello “Stato innovatore”. La Rai, infatti, ha di fronte a sé un futuro se diviene l’asse portante di un New Deal delle e nelle comunicazioni. Il soggetto garante dell’accesso aperto e free all’intera gamma delle opportunità che le tecniche offrono, nonché il baluardo dell’indipendenza e del pluralismo. Di questo è improcrastinabile parlare, per evitare che la consultazione divenga una mera retorica senza sbocchi o celi secondi fini. Basta una paginetta per cominciare, come fu chiesto (e ottenuto con successo) agli studenti delle scuole da “Articolo21”. Insomma, un Manifesto di valori, da cui possano discendere la nuova convenzione e il successivo contratto di servizio.
Che qualche settimana in più serva allora ad un confronto sui punti difficili del problema, quelli della frontiera tra l’era analogica e l’età digitale. Confronto senza chiusure e discriminazioni, per arrivare a un organismo stabile, somigliante al “consiglio della partecipazione” suggerito dal “MoveOn” nell’iter parlamentare della (contro)riforma. Tra l’altro, proprio l’intervista rilasciata da Giacomelli al mensile “Tivu” di marzo si intitola “Il mercato non perdona”. Appunto.
Vincenzo Vita