di Vincenzo Vita
Ci voleva “Mezz’ora” di Lucia Annunziata per ricordare che il servizio pubblico può ricostruire il racconto della politica con la televisione. Quest’ultima, ormai, va considerata nella sua espansione, quella che fa del video solo una sequenza di un poliedrico sistema diffusivo ampliato qualitativamente dai social. Domenica scorsa si è dimostrato che mettere in scaletta tre dei principali confronti per l’elezione a sindaco nei prossimi ballottaggi –Appendino/Fassino, Giachetti/Raggi, Parisi/Sala- è interessante per i telespettatori ed è pure un discreto successo di ascolto. La trasmissione ha toccato, infatti, un picco (durante la disfida romana) di 1 milione e 428mila contatti, un terzo sopra la media del programma. Eppure la rai non aveva per nulla “tirato” i confronti, come fa normalmente Sky, finora detentrice (perché?) del primato nella narrazione elettorale. Lasciamo da parte i talk, le pur corrette trasmissioni specializzate di rai-parlamento o gli spazi regionali. Il servizio pubblico ha un altro compito, vale a dire la divulgazione di massa della discussione politica, da reinventare in chiave moderna come parte del palinsesto. Il prossimo rinnovo della concessione e il conseguente contratto di servizio terranno in conto tale esigenza? La reinvenzione di un linguaggio politico nel contesto mediale è una componente cruciale per dare serie opportunità conoscitive, sempre più sballottate nel tiro alla fune tra chi riesce a infrangere meglio le maglie della par condicio.
No. Meglio sarebbe ri-costruire una vera e propria “tribuna politica”, ovviamente diversa rispetto a quella storica che iniziò nella vecchia rai in bianco e nero nelle annate 1960-61. In merito, vale la pena di scorrere il volume (“Cari elettori, care elettrici” , curato per RaiEri nel 2015 da Edoardo Novelli e Stefano Nespolesi in vista della mostra realizzata con RatTeche alla Camera dei deputati), denso di descrizioni e di immagini su uno dei riti essenziali della e nella prima repubblica. Così, è utile approfondire l’altra faccia della medaglia nel testo carico di amara ironia di Gennaro Pesante (“I politici e il controllo della televisione”, 2016, Historica ed.). Sono letture formative, visto che ci permettono di rivedere scene e tic di un’altra Italia. Ormai non riproponibile, per ovvi motivi. Tuttavia, la fisiologia delle antiche tribune ha dentro di sé qualcosa di sempreverde: il confronto con giornalisti dal volto riconoscibile (senza nulla togliere a coloro che sono meno noti), incontri con un solo leader per volta o, al massimo, confronti a due o tre. Ma dentro una cornice definita e riconoscibile, in una seconda serata tutta da riscoprire. E non solo per la divulgazione politica. Meno algida del modello (troppo statico) di Sky, la tribuna nel nuovo millennio avrebbe gli ingredienti per diventare un format di maggior successo rispetto agli esempi degli ultimi anni colpevolmente relegati in spazi minori senza alcuna iniziativa di lancio o di riuso nei giornali radio e nei telegiornali, con grande spreco di potenzialità informative trasversali.
E’ una proposta in apparente controtendenza. Ma non si supera la pigra assuefazione al senso comune senza irrompere creativamente nei Movimenti carsici in corso nello stesso agire della politica, da far emergere come rabdomanti ed esploratori, evocando i cambiamenti prima, non dopo.
PS: che sia in corso la raccolta di firme per diversi referendum abrogativi (Italicum e così via) non è dato sapere dall’informazione ufficiale. C’è un giudice a Berlino…?