di Vincenzo Vita
Signor giudice, cantava Roberto Vecchioni. Signor giudice, sussurriamo di fronte alla sentenza della Cassazione 13161/16 che ha imposto la cancellazione di una notizia dal giornale on line “PrimaDaNoi.it”. Si tratta di una testata abruzzese piuttosto attiva ed efficace,“rea” di aver tenuto un’informazione veritiera, non contestata nella sostanza, inerente ad un accoltellamento avvenuto in un ristorante nel 2008. Già nel settembre del 2010 i titolari del locale chiedevano la cancellazione del testo, considerato lesivo dell’immagine commerciale. Rimozione inizialmente rifiutata e stigmatizzata dal tribunale di Ortona con una prima sentenza di condanna per la persistente presenza dell’articolo nell’archivio. Seconda sentenza dello stesso tribunale di Ortona nel gennaio del 2013, ancora di condanna malgrado la spontanea cancellazione della notizia. Ricorso in Cassazione, ed ecco il citato finale della complessa partita. Un preoccupante precedente. Va detto, tra l’altro, che l’ultima udienza del processo penale sull’accoltellamento si è tenuta nel maggio scorso e, quindi, il racconto del fatto da cui è scaturita la procedura è un normale servizio per lettrici e lettori. E’ il senso profondo del diritto alla e della informazione. Tuttavia, la sentenza ha stabilito con una qualche rigidità il limite di “due anni e mezzo” come congruo per garantire proprio tale diritto: “La facile accessibilità e consultabilità dell’articolo giornalistico , superiore a quelle dei quotidiani cartacei, tenuto conto dell’ampia diffusione locale del giornale on line, consentiva di ritenere che dalla data di pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale fosse trascorso sufficiente tempo perché le notizie divulgate potessero avere soddisfatto gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica”.
E’ uno dei passaggi di una decisione (contrastante per di più con le valutazioni del Procuratore generale) che ha fatto discutere per qualche giorno –incisivi gli interventi degli avvocati Malavenda e Scorza, ad esempio- per poi uscire dalla scena mediatica. Il direttore del giornale Alessandro Biancardi ha narrato con dolore la vicenda sul sito di “Articolo21”, ed ha giustamente posto il problema dei problemi: se si è costretti a togliere notizie attinenti ad eventi persino recenti, oltre che inoppugnabili, è il concetto stesso di “archivio” ad essere abrogato. Non solo. L’effetto a cascata è potenzialmente devastante. La memoria, fondamentale nell’era veloce digitale, finisce in un gioco pericoloso. Deve vincere la dittatura dell’istantaneità cui sembra sia condannata l’età postmoderna? Attenzione all’eterogenesi dei fini. Non si vuole interferire nell’autonomia della magistratura, valore da difendere sempre e a prescindere, ma contribuire a chiarire la questione. Se si leggono in sequenza gli indirizzi specifici del Consiglio d’Europa, le scelte della Corte di giustizia, nonché la prassi dell’ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, riesce difficile comprendere i motivi della sentenza 13161/16.
Da “PrimaDaNoi” è venuta un’ipotesi concreta, da raccogliere in parlamento. Vale a dire l’indicazione di varare una norma primaria, sulla base del Regolamento europeo in materia, di maggio, e per uniformare gli orientamenti: valutazioni caso per caso; bilanciamento tra memoria collettiva e storia personale; interesse pubblico prevalente, soprattutto nei delitti efferati, non per caso imprescrittibili. Basta un articolo.