di Vincenzo Vita
L’eroe di questi giorni nei e tra i media è Urbano Cairo. Nella massima serie di basket degli Stati uniti –Nba- sarebbe “most valuable player” (Mvp), come Curry . Tanto per dire. Infatti, il tabernacolo dell’editoria, circondato da mitologie divine e storie pure molto profane, è ora appannaggio dell’editore de “La7” nonché patron del Torino calcio. Si parla della conquista di “Rcs-Corriere della sera”, a lungo al centro delle dispute nell’attuale fase crepuscolare del settore in Italia. Può arrivare al 65,5% delle azioni, dopo la rinuncia del capofila della cordata concorrente (Andrea Bonomi, con Della Valle,Mediobanca,Pirelli e Unipol-Sai, raccolti nella “International Media Holding”) a prendere un residuo 12,9%. Applausi dagli spalti: da parte di coloro che mal sopportano il vecchio e desueto salotto buono, e pure dai sostenitori della “purezza” dei mezzi di informazione. Giusta aspirazione quest’ultima, ma peccato che governi e parlamenti non abbiano mai preso in seria considerazione l’antica attualissima richiesta di un autonomo “statuto dell’impresa giornalistica” in grado di evitare la bruttura dei captive media nelle mani di finanzieri, costruttori, cementieri, prestanome, referenti di lobby o di accrocchi politici. Non ci riuscì neppure la migliore delle riforme, la legge 416 del 1981, pure influenzata dalle gloriose lotte di via Solferino di cui è memoria storica Raffaele Fiengo. Ma eravamo, in tutti i sensi, in un altro secolo. Quando il mondo dell’informazione scritta era ancora nella sua parabola ascendente e proprio il gruppo Rizzoli, alle prese con la P2, era il punto chiave dell’intero universo. Ora siamo come nelle tappe modeste del Giro o del Tour, ai sorpassi in discesa. Senza infamia e senza lode.
Comunque, si sono giocate varie e diverse partite in una, a cominciare dalla competizione tra Intesa sanpaolo -che ha retto bordone a Cairo- e Mediobanca, ormai ben lontana dagli anni d’oro di Enrico Cuccia. Che ripeteva che per comprare i giornali ci vogliono i soldi. Ecco. Il neo-proprietario, peraltro ex collaboratore di Berlusconi assurto successivamente alla civitas romana, ha dato garanzie sulla volontà di fare direttamente il nocchiero del bastimento, carico di problemi e di debiti. Sinergie con la televisione, razionalizzazioni (il lavoro sarà garantito?), piano industriale. I cosiddetti mercati hanno reagito bene e finalmente ha vinto, si afferma, una logica editoriale in luogo di una sommatoria di interessi giustapposti. Era dal 1984 che non avveniva. Stiamo a vedere, fiduciosi. Veniamo, però, al punto, superando i commenti di maniera. Che farà Cairo? Marchionneggerà o imboccherà la strada, mutatis mutandis, intrapresa dal Ceo di “Amazon” Jeff Bezos dopo l’acquisto del “Washington Post”? Insomma, tagli e lacrime, oppure fertile intreccio con la rete? Il corpo a corpo con il Web, per allargare piattaforme e potenziali lettrici/lettori (i prosumer, produttori e insieme consumatori), è l’unica via per navigare con profitto (anche letteralmente) nell’era digitale. Chissà se proprio un signore fattosi da sé e lontano dai tic di un capitalismo ingiallito, riuscito a vitalizzare il “terzo polo” televisivo, indosserà i panni della “storia”. Comunque, il successo conseguito a dispetto dei santi ci sottolinea due cose: Renzi va giù, visto che un anno fa una vicenda non riconducibile a palazzo Chigi non sarebbe accaduta; hanno ragione coloro che teorizzano che ormai la dialettica vera è tra Alto e Basso, tra chi rappresenta i poteri e chi ne è intriso un po’ meno.