di Luca Mershed
Il Commando del Nord dell’esercito indiano ha comunicato che 17 soldati e 4 presunti ribelli sono stati uccisi durante un attacco contro un quartier generale dell’esercito nel Kashmir sotto amministrazione indiana.
“Quattro terroristi sono rimasti uccisi in un’operazione antiterrorismo a Uri. 17 soldati hanno fatto il supremo sacrificio”, ha detto il Commando del Nord su Twitter. La zona di Uri si trova a circa 100 km ad ovest della principale città della travagliata regione settentrionale, Srinagar.
Il portavoce dell’esercito indiano, Goswami, ha sottolineato che i combattenti hanno, prima, attaccato una base di prima linea vicino al confine conosciuto come la Linea di Controllo o LoC prima di passare al quartier generale.
Un testimone a Uri ha confermato che nella mattinata poteva vedere il fumo fluttuare all’interno della sede di fanteria e che si sentivano spari continui di arma da fuoco pesante.
Il Ministro degli Affari Interni, Rajnath Singh, ha riferito attraverso una serie di tweet di aver parlato dell’attacco ai militari ed ai leader politici della regione ed ha cancellato i viaggi in programma in Russia e negli Stati Uniti.
Secondo la stampa locale, il Capo dell’esercito, Dalbir Singh Suhag, e il Ministro della Difesa, Manohar Parrikar, hanno visitato il Kashmir dopo l’attacco.
La regione himalayana è in preda a disordini mortali da più di due mesi a causa delle proteste dei residenti che si scontrano, quasi quotidianamente, con le forze di sicurezza. Dall’inizio delle proteste contro il dominio indiano, ci sono stati almeno 87 civili uccisi e migliaia di feriti. Le manifestazioni si sono innescate l’8 luglio, dopo l’uccisione di un leader ribelle popolare in uno scontro a fuoco con i soldati.
Il Kashmir è una regione divisa in due parti, una amministrata dall’India e l’altra dal Pakistan. L’India afferma che il Pakistan abbia sostenuto un movimento secessionista violento in Kashmir. Islamabad ha sempre negato questa accusa e denomina gli abitanti del Kashmir come dei combattenti ribelli per la libertà.
Le proteste furiose che sono sorte l’8 luglio nel Kashmir amministrato dall’India sono un segno evidente che il sentimento popolare non può essere ignorato solo perché non è in sintonia con la propaganda nazionalista di un Governo rappresentativo.
In assenza di forum politici legittimi, tale sentimento fomenta disordini arrivando fino a circostanze che forniscono un martire, come Burhan Wani, il giovane ribelle la cui uccisione da parte delle forze di sicurezza indiane ha acceso le proteste in Kashmir.
Spesso, questi movimenti di protesta sono degli atti disperati, senza una possibilità di successo, che portano solamente ad una violenza senza un fine concreto. La violenza si è sparsa anche fra le fasce giovani della società del Kashmir e non sorprende che la generazione emergente di Kashmiri si identificano con i loro omologhi palestinesi e stanno chiamando la nuova ondata di proteste “Intifada”.
Un’altra somiglianza con la questione palestinese è che la situazione attuale in Kashmir è stata causata dai colonialisti occidentali. Nel redigere la mappa per la divisione del subcontinente indiano nel 1947, il Regno Unito ha visto il Kashmir interamente attraverso le lenti della storia recente senza prendere in considerazione le diverse identità culturali, religiose e sociali.
Se l’India continua a trattare i Kashmiri con un sentimento di disprezzo violento ed il Pakistan adotta una linea politica per sfruttare la situazione, cresceranno sempre di più attori non statali che si specializzeranno nel trasformare la violenza politica in caos.
Dall’indipendenza dell’India, il Kashmir è diventato una pallina di ping-pong tra India e Pakistan. Quest’ultimo ha ceduto parte del territorio alla Cina nel 1962 per assicurarsi un’alleanza contro l’India.
Da allora ci sono stati tre conflitti localizzati ed una guerra anche se un’iniziativa trilaterale tra il 2004 e il 2007 che ha coinvolto l’India, il Pakistan e separatisti del Kashmir ha dimostrato che il problema è risolvibile.
Un generale del Pakistan, Pervez Musharraf, ha riconosciuto che non potrebbe essere compiuto nessun progresso sostenibile fino a quando il Kashmir verrà visto come una semplice disputa bilaterale fra India e Pakistan.
Nel 2006 l’India ed il Pakistan avevano, anche, concordato in linea di principio di firmare una serie di accordi per risolvere le loro controversie territoriali di vecchia data.
Questi accordi hanno portato ad un trattato sulla gestione congiunta del Kashmir da parte dell’India e del Pakistan, in base al quale entrambi avrebbero ritirato le proprie forze militari dalla regione e creato un forum di colloqui per decidere sullo status definitivo del Kashmir.
Purtroppo, il processo è stato accantonato a causa del cambio di Governo in India e la caduta del regime di Musharraf in Pakistan. Quindi, è rinato il risentimento ed i conflitti politici che hanno portato ad una forte destabilizzazione della Regione.
Per molti in Kashmir, il sentimento guida delle proteste in corso ricorda l’ultima rivolta popolare del 1989. L’India ha risposto con una repressione brutale in cui si sono verificate parecchie violazioni dei diritti umani.
La lotta è diventata sempre più violenta e radicalizzata a causa dell’afflusso di migliaia di militanti con base in Pakistan, molti dei quali sono guidati dai veterani mujaheddin della resistenza che ha avuto successo contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan.