di Paola Caridi
Riprendiamo dal sito www.invisiblearabs.com la riflessione che Paola Caridi ha pubblicato all’indomani del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni. Una riflessione che arriva da una profonda conoscitrice dell’Egitto e del Medio Oriente, che ci aiuta a capire e a illuminare cosa accade in quel paese, nell’ipocrita indifferenza di noi tutti. Vogliamo così unirci a quanti hanno già chiesto e chiedono verità e giustizia per Giulio Regeni e continueremo a tener accesa la luce sull’inchiesta sul suo omicidio, sulle persecuzioni contro attivisti, blogger, giornalisti e ricercatori in terra egiziana
Stavo pensando a Islam Gawish, appena tre giorni fa. Uno dei più noti vignettisti egiziani, arrestato così, senza capi di imputazione, dai servizi di sicurezza del regime di Abdel Fattah Al Sisi. Lo hanno portato via, sottoposto a un lungo interrogatorio. Forse per l’amministrazione della sua pagina Facebook. Per Islam Gawish si è mobilitata immediatamente la Rete, internet, egiziano e internazionale, chiedendo conto di quello che si stava facendo al Cairo. Islam è forse il vignettista più noto in Egitto. Vignettista, disegnatore satirico: una specie che esiste, eccome se esiste nel mondo arabo, anche se noi pensiamo che esista solo la nostra abilità dissacrante di ridere su qualsiasi cosa. A Islam Gawish è andata bene, è stato rilasciato dopo meno di un giorno. Tutti temevamo che gli fosse toccata la stessa sorte di moltissimi ragazzi egiziani. Migliaia, decine di migliaia di ragazzi in carcere, torturati, molti ammazzati: gli stessi ragazzi egiziani che hanno elaborato una vera e proprio rivoluzione culturale negli ultimi dieci anni. Un decennio a metà del quale, e non per caso, è esplosa la rivoluzione di piazza Tahrir.
Pensavo qualche giorno fa a Islam Gawish, e ai tanti, tantissimi che languono in galera, e mi veniva voglia di scrivere un post sulla “meglio gioventù” egiziana. Ragazzi coraggiosi, resilienti, sorridenti. Ragazzi che non abbiamo difeso.
E poi, accanto a Islam Gawish, quasi sovrapposto, Giulio Regeni irrompe nella cronaca. Sui social, e soprattutto sui nostri quotidiani, in genere disattenti a tutto ciò che succede nella Cairo delle strade, della metro, delle carceri, delle stazioni di polizia. Informazione più attenta agli interscambi tra Italia ed Egitto, alle bilance commerciali, alle possibilità delle imprese italiane di tornare a investire in Egitto, a quanto sono amici i nostri Paesi. Come se nulla, di tragico, sanguinoso sia successo in questi 5 anni…
Irrompe la faccia sorridente, resiliente, coraggiosa di Giulio Regeni nelle fotografie che riempiono il web. Coetaneo di Islam Gawish. Stessa generazione. Una generazione tanto coraggiosa quanto invisibile, a noi. E a essere sconosciuto non è solo Islam il vignettista. Lo è altrettanto Giulio Regeni, dottorando della Cambridge University, visiting scholar della prestigiosa American University del Cairo. È l’università in cui per anni ha insegnato il più grande esperto di sindacati e classe operaia egiziana, Joel Benin. E dei diritti del lavoro si stava occupando Giulio Regeni, un argomento delicato non solo negli anni più recenti, ma anche verso il 2005, quando il regime di Hosni Mubarak cominciò a scricchiolare proprio con le proteste sindacali di Mahalla el Kobra.
Giulio Regeni è diventato visibile all’informazione nel momento esatto della sua assenza conclamata. Singolare, vero? Dei Giulio Regeni al Cairo, a Beirut, a Tunisi, in Kenya nessuno (o quasi) si interessa. Chiamarli ‘cervelli in fuga’ non ha neanche tanto senso. Alcuni sono i cervelli italiani che abbiamo cacciato dal Paese perché non abbiamo dato loro opportunità pari alla loro preparazione. Altri sono nel nuovo dna veri e propri cittadini del mondo: vanno con fatica lì dove vogliono andare, sono talmente bravi che trovano un dottorato a Cambridge, hanno un’etica, credono in un mondo in cui i diritti umani e civili non possono essere a corrente alternata.
Sono la “meglio gioventù” italiana. Così simile alla “meglio gioventù” egiziana. Legata, in comunicazione, oltre le facili letture e gli stereotipi a cui si abbeverano i politici nostrani. Forse simile alla “meglio gioventù” francese, tedesca, inglese, tunisina, siriana, palestinese.
Sono l’ultimo settore delle nostre comunità all’estero: fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, sono felici, scrivono, si interrogano, conoscono bene il paese dove vivono, spesso lo amano.
Di loro l’informazione italiana saprà di più nel momento stesso in cui Giulio Regeni è stato ucciso. Non è “morto”, come hanno scritto subito le fonti d’informazione. È stato ucciso. Non si per mano di chi. Forse si sa come. Un colpo in testa, dice l’autopsia. Chi l’ha fatta, l’autopsia? Era presente un medico di fiducia dello Stato italiano? Non è un dettaglio. Ci sono ragazzi egiziani ora in galera che stanno pagando caro l’aver chiesto l’autopsia delle vittime della strage del Maspero, al centro del Cairo. Era la fine di ottobre 2011, e chiedere l’autopsia delle vittime voleva dire individuare subito i responsabili.
L’ambasciata ha fatto un passo buono, molto buono. Chiedere che la salma di Giulio Regeni fosse portata al nostro ospedale, l’Ospedale Italiano del Cairo, uno di quei luoghi che vanno oltre la loro memoria e continuano a essere importanti per la comunità. Solo un primo passo. Un primo passo, in una storia in cui la priorità è proteggere la dignità e la storia di Giulio Regeni. Non solo oggi, non solo domani. Anche fra qualche giorno, settimana, mese. Quando calerà l’attenzione, e magari si sovrapporranno ipotesi di comodo.