La recente legge sulla Rai, che segna clamorosamente la “controrivoluzione” italiana dei media, consegna al Governo il controllo del servizio pubblico. Assomiglia alla normativa varata lo scorso 31 dicembre in Polonia, sotto la spinta del partito ultranazionalista e di destra che ha vinto le elezioni del passato 25 ottobre: direttori, consiglieri di amministrazione e organismo di sorveglianza dell’azienda di stato sono scelti direttamente dal ministro del tesoro. E, con cinismo, quelli che lavoravano –ivi compresi taluni famosi giornalisti- sono stati messi alla porta. Tutto in una notte, come recita il titolo di un noto film. Tra l’altro, lo stesso esecutivo ha cambiato i criteri di nomina della locale corte costituzionale, infilandovi cinque componenti di propria emanazione. Il cerchio si è chiuso. Un lucido punto di riferimento per comprendere la fisiologia dei media in Polonia è il saggio (“Politicization of the media in the first decade of polish membership in the european union”, numero 1/2015 della rivista “Nomos”) del professor Maciej Mizejewski, già autore per le stesse edizioni di una accurata descrizione della situazione creatasi dopo la caduta del vecchio regime.
Si sottolinea che i media pubblici non devono essere un’istituzione statale-governativa. E’ avvenuto il contrario. Quanto era diversa il clima del pur recente (giugno 2010) colloquio italo-polacco sulle trasformazioni istituzionali, in cui le considerazioni conclusive del costituzionalista Zbigniew Witkowski apparivano assai speranzose sull’evoluzione giuridica del suo paese. Il destino è stato avverso. E ha esagerato. Per lo sfregio inferto a pluralismo, indipendenza e autonomia, la commissione europea è intervenuta e chissà che non apra una procedura di infrazione. Speriamo. Già l’Ungheria.
Ecco, però, la legittima domanda. Il testo italiano, assai vicino al diktat di Varsavia, non meriterebbe analoga attenzione da parte di Bruxelles e Strasburgo? Il problema è stato posto dal presidente della commissione parlamentare di vigilanza Roberto Fico, ma non può ridursi ad una iniziativa singola. E’ utile che le associazioni, dall’Arci a Libertà e giustizia ad Articolo21 a MoveOn e alle numerose altre, mobilitate sulla libertà di informazione, si pongano su tale lunghezza d’onda, contribuendo a riaprire il caso italiano. Legge sulla Rai ed editto polacco sono un pessimo auspicio per lo stesso futuro della comunità. Se vengono stracciati il trattato di Lisbona sull’avanzamento dell’assetto istituzionale e il Protocollo di Amsterdam sui servizi pubblici, che ne sarà dell’acquis comunitario? E’ un banco di prova anche per le forze del socialismo europeo, un tempo in prima fila a difendere la diversità della cultura e della comunicazione. Ora siamo ad un passaggio delicatissimo. E sì, perché la coppia italo-polacca non è solo la patologia, bensì la triste anticipazione di un clima inquietante: una miscela di liberismo e dirigismo.
Simile questione è stata presa finora con colpevole sufficienza o con miope ostilità da parte delle leadership. Non si è capito che, senza basi democratiche, il sistema non è in grado di sfidare i nuovi potenti, gli aggregatori di contenuti come Google o Facebook che, quanto a decisionismo, hanno molte marce in più. Andrebbero contrastati nella loro volontà di potenza con un surplus di partecipazione, non il contrario. Ma ne riparleremo. Dopo il festival di Sanremo, nel cui nome si ferma tutto. A proposito. Qualcuno ha guardato invece su “Rai storia” lo speciale in memoria di Andrea Barbato?
Vincenzo Vita