di Matilde De Luca
Questa breve riflessione si apre con un quesito: perché da un lato l’uomo è così tecnologicamente avanzato, ma dall’altro si estingue con le sue stesse mani? Eppure il tanto bramato progresso ci ha fornito le competenze più disparate per dotarci dei mezzi più prestigiosi per una sempre più civile esistenza!
Noi umani siamo tanto infallibili nell’esplorazione dei nostri habitat, quanto labili nella conoscenza della nostra natura. Possiamo domare le belve più feroci, ma non sappiamo controllare i nostri stessi impulsi. Ma allora a cosa è valso tutto il nostro scoprire, inventare e costruire tra scienze, arti e tecnologie se poi il resoconto ultimo sfocia nell’autolesionismo più estremo? Come siamo giunti a questo contraddittorio inghippo evolutivo?
La risposta ci è suggerita da una scienza spesso dimenticata ma non per questo meno nobile: l’antropologia. Ogni scienza umana ha origine da una domanda, un interrogativo volto a tentare di comprendere un preciso aspetto della realtà. La domanda che l’antropologia si pone è : “Chi è l’uomo?” Questo apparentemente banale quesito racchiude al suo interno un’infinità di variabili e sfumature, che abbracciano la storia della specie sapiente, le sue peculiarità e caratteristiche ma soprattutto i suoi più radicati limiti. La consapevolezza e conoscenza della natura della nostra specie, va di pari passo con la conoscenza dell’universo che ci circonda, non può esserci completa comprensione del vero senza la conoscenza del sé, dei propri limiti e facoltà. Lo sguardo antropologico è rivolto quindi all’interno della mente umana e a tutte quelle manifestazioni socio-culturali che ne sono espressione.
Come si può rispondere dunque alla domanda “Chi è l’uomo?” L’Homo Sapiens Sapiens, volgarmente detto “Umano”, è un mammifero abitante del pianeta Terra da circa 250-200.000 anni. Si caratterizza rispetto alle altre specie per la postura eretta, una scatola cranica discretamente sviluppata e l’uso del cosiddetto “pollice opponibile”; principale dote dell’Umano è custodita nella facoltà di plasmare il proprio habitat, grazie alla creazione di tecnologie. Quest’ultimo aspetto risulta essere il punto centrale dell’esperienza umana: la possibilità di creare artefatti, ci ha conferito grande potere di crescita e dominio sulle altre specie. Proprio questo potere formidabile costituisce la chiave per comprendere la natura del nostro agire.
Pensate per un attimo alla storia dell’uomo sulla Terra, partendo dalla giungla preistorica da cui nascemmo, così indifesi e fragili rispetto a molte altre creature, la nostra sola forza all’alba dei tempi si rivelò essere l’unione. Ci raggruppammo in tribù per limitare la nostra vulnerabilità e nel tempo questa unione stimolò le nostre facoltà cerebrali, inducendoci a immaginare, ad usare la nostra creatività per sopravvivere. Invenzione dopo invenzione la scintilla evolutiva esplose nelle nostre menti come un lampo… abbagliandoci! Sembravamo niente più che implumi esserini ma uniti potevamo dar vita all’inimmaginabile. Fu così che, era dopo era, noi umani focalizzammo i nostri percorsi evolutivi sulla creazione materiale del nostro stesso mondo, come dei fanciulli che costruiscono castelli di sabbia destinati a sciogliersi tra le onde.. Chi siamo, dunque? Si potrebbe dire che oramai ci siamo a tal punto identificati in questa nostra brama creatrice, da non poter far altro che creare, produrre, generare ancora e ancora , verso un’innovazione senza fine (o verso la fine della nostra innovazione?). E’ curioso cogliere l’ambiguità di questa dinamica: abbagliati da noi stessi e dai nostri poteri, ne siamo divenuti schiavi! Da carnefici a vittime, dominati dal potere del dominio! Ma al di là della mera retorica e dei giochi di parole, è proprio qui che l’antropologia entra in campo, imponendoci di metterci in dubbio, di chiederci cosa non stia funzionando, se giunti ad un tale grado di civilizzazione siamo in verità più simili a tossicodipendenti disperati che, pur di non patire l’astinenza, scegliamo di perpetuare l’autodistruzione incessante.
L’inganno evolutivo è custodito nei nostri stessi limiti. Solo conoscendoci potremmo superarci. Ma allora, quali sono i limiti umani? La lista sarebbe infinita, anche se principalmente sono due i grandi nemici della mente sapiente: il Potere ed il Superfluo. Del Potere, inutile dire che la mente umana sia così suscettibile all’accumulo smisurato di dominio, da renderla facile preda della follia. Come il pesce fuor d’acqua soffoca, l’uomo con troppo potere sugli altri finisce con l’affogarsi con le sue stesse mani. Del Superfluo, va detto che l’uomo si è rivelato così abile nell’escogitare escamotage per raccontarsi ciò in cui vuole credere, da evitare di interrogarsi su chi sia. Ci convinciamo di aver bisogno di bisogni sempre più impellenti, inutili e deleteri. Partendo dai limiti si possono creare le condizioni per superarli. Siamo noi gli artefici delle nostre vite, fin dall’alba dei tempi, fu ciò che ci rese umani, il potere di plasmare il nostro destino, di renderci liberi, di interrogarci e risponderci osservando il cosmo. E’ giunto il tempo di evolversi, di cogliere le contraddizioni radicate in noi che ci impediscono il cammino. Abbiate dubbi. Struttureremo il nostro agire sociale partendo dal dubbio creativo come strumento di analisi dei limiti al fine di superarli! Se in questo gioco evolutivo il nostro nemico siamo noi stessi, non si può far altro che conoscerci per combatterci nel più glorioso dei modi. L’inganno è in noi e dunque in noi sta la sua soluzione.