di Marina Schiavo
La questione sahrawi è da tempo in un cono d’ombra, eppure la controversia diplomatica che vede contrapposti il Regno del Marocco e la Repubblica araba democratica dei Saharawi, resta cruciale per l’equilibrio della regione.
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di Luca Mershed
Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha commutato la pena di Oscar López Rivera, una vittoria per l’attivista portoricano per l’indipendenza dell’Isola che è considerato uno dei più longevi prigionieri politici di tutto il Mondo.
Nei suoi ultimi giorni in carica, Obama ha emesso un numero record di grazie e commutazioni, tra cui la concessione del rilascio di Chelsea Manning , soldato dell’esercito degli Stati Uniti ed uno dei più famosi informatori dei tempi moderni dopo il rilascio di file top secret a wikileaks.
López Rivera, 74 anni, la cui commutazione è stata annunciata il mese scorso insieme a quella di altri 208 prigionieri, è stato incarcerato per 35 anni per il suo ruolo nella lotta per l’indipendenza di Porto Rico.
L’attivista politico portoricano, che ha trascorso più di metà della sua vita dietro le sbarre, è stato condannato per il reato di “cospirazione sediziosa” per aver complottato contro gli Stati Uniti. Il Governo degli Stati Uniti lo aveva classificato come un terrorista.
Se Obama non fosse intervenuto, sarebbe rimasto in carcere sino al 26 giugno 2023, cinque mesi dopo il suo 80esimo compleanno.
Jan Süsler, l’avvocato di López Rivera, ha detto che il rilascio del prigioniero è una grande vittoria nella lotta in corso per l’indipendenza di Porto Rico, aggiungendo di essere grato ad Obama per aver capito che “non c’era alcuna ragione legittima per mantenere Oscar in prigione”.
“Dobbiamo festeggiare ogni vittoria”, ha affermato. “Abbiamo un sacco di lavoro da fare, e ora Oscar sarà in grado di unirsi a noi e potremmo lavorare fianco a fianco”, ha continuato l’avvocato.
Süsler ha dato la notizia della liberazione a López Rivera il quale ha risposto: “Si può immaginare un regalo di compleanno migliore per mia figlia (Clarisa)?”. Non solo Oscar ma tutto Porto Rico ed i maggiori leader mondiali hanno festeggiato e si sono congratulati con il presidente Obama per la saggia decisione presa nei suoi ultimi giorni alla Casa Bianca.
López Rivera è nato nel 1943 a San Sebastián a Porto Rico, dove ha vissuto fino a che la sua famiglia si trasferì a Chicago all’età di 14 anni. In seguito fu chiamato per servire nella Guerra del Vietnam, e quando tornò si cimentò in un attivismo comunitario tra i portoricani a Chicago.
L’ex prigioniero politico portoricano divenne un membro di un gruppo clandestino chiamato Las Fuerzas Armadas de Liberación Nacional, il cui programma era focalizzato sul fatto che le milizie erano giustificate nella lotta per l’indipendenza di Porto Rico.
I pubblici ministeri degli Stati Uniti hanno accusato il gruppo di effettuare 140 rappresaglie contro basi militari, uffici pubblici ed edifici finanziari, ma López Rivera ha ripetutamente negato il suo coinvolgimento negli attacchi mortali.
L’ex prigioniero ha, più volte, insistito sul fatto che le sue azioni non mettevano, in alcun modo, in pericolo la vita delle persone.
“Per me, la vita umana è sacra. Parlavamo di ‘propaganda armata’ – utilizzando gli obiettivi per attirare l’attenzione alla nostra lotta “, aveva detto in un’intervista Oscar López lo scorso anno.
La stessa figlia di Oscar ha raccontato, nella giornata di oggi, che suo padre non ha mai sparato contro nessuno durante la Guerra in Vietnam in testimonianza della sua concezione della vita come sacra ed inviolabile che si scontra con la visione messa a punto da alcune amministrazioni USA che lo dipingevano come un terrorista.
Il gruppo clandestino è stato smantellato nel 1983 e López Rivera insieme ai suoi compagni combattenti indipendentisti portoricani alla fine han rinunciato alla violenza ed ha abbracciato tattiche di riforma pacifica.
Alla domanda rispetto la sua decisione di rinunciare pubblicamente alla forza aveva detto: “Ci siamo resi conto di altre tattiche che potevano essere più efficaci della forza armata, cioè mobilitare le persone attraverso una campagna pacifica. Moralmente abbiamo, anche, visto che dovevamo dare il buon esempio e che se stiamo cercando un mondo migliore ci sono cose che non si possono fare. Non è possibile ottenere un mondo migliore comportandosi ingiustamente”.
Nel mese di agosto del 1999, Bill Clinton aveva usato i suoi ultimi giorni in carica per concedere la grazia a 11 combattenti per l’indipendenza di Porto Rico. A López Rivera era stata offerta la libertà ma egli aveva rifiutato perché chiedeva la scarcerazione di tutti i patrioti portoricani insieme alla sua ma il Presidente degli Stati Uniti non la concesse.
“Quando ero in Vietnam non ho mai lasciato dietro nessuno. Non è la mia abitudine, non ho potuto farlo”, aveva detto Oscar nell’intervista dell’anno scorso rispetto alla sua mancata libertà sotto la presidenza Clinton.
Molte figure di spicco hanno effettuato forti pressioni per il rilascio di López Rivera, tra cui l’arcivescovo Desmond Tutu; il Governatore di Porto Rico, Alejandro García Padilla; il caucus ispanico del Congresso degli Stati Uniti; l’ex presidente statunitense Jimmy Carter; l’ex candidato presidenziale democratico Bernie Sanders; e Lin-Manuel Miranda, il creatore del tormentone musical di Broadway Hamilton
Miranda ha portato l’attenzione diffusa al caso di López Rivera dopo aver incontrato Obama nel corso di una visita alla Casa Bianca.
Alcuni hanno paragonato López Rivera a Nelson Mandela e viene anche chiamato il “Mandela di Puerto Rico”.
La commutazione di López Rivera potrebbe avere implicazioni e conseguenze future. L’anno scorso, il Presidente venezuelano, Nicolas Maduro, aveva affermato che avrebbe rilasciato il leader dell’opposizione in carcere, Leopoldo Lopez, se gli Stati Uniti avessero accettato di rilasciare López Rivera.
Il membro del Congresso degli Stati Uniti, Luis Gutiérrez (di origine portoricana), ha festeggiato la decisione di Obama, dicendo in una dichiarazione: “Sono felicissimo e sopraffatto dall’emozione. Oscar è un amico, un mentore e una famiglia per me… La lotta lunga contro il colonialismo nei Caraibi ha avuto molti capitoli e abbiamo tutti messo la violenza dietro di noi. Oscar López Rivera torna alla sua terra ed il suo popolo è ad un passo verso la pace e la riconciliazione”.
Obama ha commutato le sentenze di 1.385 individui, più di ogni altro presidente degli Stati Uniti. In una chiamata con i giornalisti, un funzionario della Casa Bianca ha detto che sono attese più commutazioni “molto probabilmente per giovedì”.
di Luca Mershed
Quando la fame ha attirato decine di migliaia di venezuelani in piazza in segno di protesta la scorsa estate, il presidente Nicolas Maduro si è rivolto ai militari per gestire l’approvvigionamento alimentare del Paese, mettendo i generali a capo di tutto, dal burro al riso.
Ma un’indagine di Associated Press mostra che invece di combattere la fame, i militari hanno voluto solo trarre profitto dalla situazione. Per esempio i militari hanno allestito dei mercati illegali dove vendono i prodotti – alcuni diventati di difficilissima reperibilità- 100 volte più cari rispetto ai prezzi stabiliti dal Governo.
Con gran parte del Paese sull’orlo della fame e miliardi di dollari in gioco, il traffico di cibo è diventata una delle più grandi imprese in Venezuela. Dai generali ai semplici soldati, l’esercito è al centro della corruzione, secondo dei documenti e delle interviste con più di 60 funzionari, imprenditori e lavoratori, di cui cinque ex generali. Di conseguenza, il cibo non raggiunge chi ne ha più bisogno.
“Ultimamente, il cibo è un business migliore rispetto ai farmaci”, ha detto il generale in pensione Cliver Alcala, che ha contribuito a sorvegliare la sicurezza dei confini del Venezuela. “L’esercito è responsabile della gestione del cibo ora”.
Dopo che l’opposizione aveva tentato di rovesciarlo, il defunto Presidente, Hugo Chavez, aveva iniziato a consegnare il controllo all’esercito sull’industria alimentare creando un Ministero per il Cibo nel 2004. Il suo Governo aveva nazionalizzato le aziende agricole a conduzione socialista e gli impianti di trasformazione alimentare per poi abbandonarli facendo prosciugare la produzione interna.
Gli esportatori di petrolio del Venezuela sono diventati dipendenti dalle importazioni di prodotti alimentari, ma quando il prezzo del petrolio è crollato nel 2014, il Governo non poteva più permettersi tutto ciò di cui il Paese aveva bisogno.
Il razionamento del cibo è cresciuto in modo così grave che i venezuelani trascorrono, a volte, tutto il giorno per avere da mangiare. I reparti pediatrici si sono riempiti con bambini sottopeso mentre gli adulti della classe media hanno iniziato a raccogliere gli scarti del cibo nei cassonetti. Quando le persone hanno risposto con proteste di piazza violente, Maduro ha consegnato il controllo sul resto della distribuzione alimentare ai generali, così come i porti del Paese.
Il Governo, ora, importa quasi tutto il cibo del Venezuela e la corruzione è dilagante causando l’aumento dei prezzi e delle carenze di prodotti alimentati.
La relazione annuale del Ministero per il Cibo mostra un eccesso significativo dei prezzi su tutta la linea, rispetto ai prezzi di mercato.
“La cosa incredibile di ciò è che il Governo dipinge la situazione come una forma pulita di corruzione”, ha detto il legislatore dello Stato di Carabobo, Neidy Rosal, che ha denunciato centinaia di casi legati al furto di cibo da parte del Governo del valore di milioni di dollari. “È come eseguire il traffico di droga in pieno giorno.”
Mettendo i militari in carico del cibo, Maduro sta cercando di impedire che i soldati soffrano la fame e siano tentati di partecipare ad una rivolta contro un Governo sempre più impopolare, ha detto il generale in pensione Antonio Rivero. L’esercito del Venezuela ha una lunga storia di colpi di Stato contro i Governi e Maduro ha arrestato diversi funzionari con l’accusa di aver cospirato contro di lui.
“Hanno dato il controllo assoluto ai militari”, ha affermato Rivero in esilio da Miami. “Questo ha drenato il sentimento di ribellione da parte delle forze armate permettendo loro di sfamare le proprie famiglie”.
L’ufficio stampa del Ministero della Difesa ed il Presidente si sono rifiutati di rispondere alle ripetute chiamate, e-mail e lettere consegnate a mano con la richiesta di una soluzione. In passato, i funzionari hanno accusato l’opposizione di esagerare il problema della corruzione per avere un rendiconto politico. Hanno sempre sottolineato che la struttura gerarchica dei militari è ideale per combattere i veri colpevoli: gli uomini d’affari di destra che cercano di far cadere l’economia.
Eppure la corruzione persiste, dal porto ai mercati, secondo le decine di persone che lavorano a Puerto Cabello, la città che gestisce la maggior parte delle importazioni di prodotti alimentari del Venezuela.
Aldemar Diaz, un ufficiale della dogana ha spiegato che le tangenti sono necessarie anche per qualsiasi lavoro di ufficio e possono superare i $ 10.000 per un contenitore singolo di spedizione.
Luis Pena, direttore operativo della base operativa di Caracas per le importazioni della Premier Foods, ha comunicato che esiste un lungo elenco di funzionari militari corrotti per ogni spedizione di cibo che porta in e da le aziende di piccole dimensioni negli Stati Uniti.
“Ora li devi pagare anche per guardare solamente il vostro carico” ha detto. “È una catena ininterrotta di corruzione da quando la nave arriva fino a quando il cibo è collocato nei camion”.
Il tenente Miletsy Rodriguez, che è a capo di un gruppo di guardie nazionali di sicurezza del porto, ha sottolineato che le persone sono solo alla ricerca di un capro espiatorio tra i militari.
“La maggior parte di noi sta facendo del proprio meglio. E, prima o poi, ci prenderemo le persone che non stanno facendo il lavoro giusto”, ha confermato.
A Puerto Cabello, i residenti affamati hanno riferito che si nota come i soldati corrotti stanno prendendo il cibo nei piatti dei loro figli.
Pedro Contreras ha raccontato di aver visto più di 100 camion che trasportavano grano sulla strada principale e di essersi avvicinato velocemente in mezzo al traffico per raccogliere i noccioli che erano saltati fuori. In quella notte aveva in mente la sua libra in farina di mais per sfamare la sua famiglia.
“L’esercito è sempre grasso, mentre i miei nipoti sono denutriti”, ha affermato. “Tutto il cibo del Venezuela viene da qui, ma così poco di esso va a noi”.
di Luca Mershed
Dopo aver scritto delle elezioni governative in Macedonia, ogli illuminiamo una nuova realtà di cui si parla poco, la vicina Romania dove si sono recentemente svolte le elezioni per il Parlamento.
Il popolo romeno ha votato alle elezioni parlamentari un anno dopo un tragico incendio mortale in una discoteca che ha obbligato il Governo ad andare alle urne.
Un’altra volta si è confermata come maggiore forza politica i socialdemocratici (PSD) che si sono posizionati al primo posto con circa il 46 per cento dei voti. Il Partito Nazionale Liberale –rivale- di centro-destra (PNL) ha, invece, ricevuto circa il 21 per cento, mentre i loro alleati dell’Unione Salva Romania (USR) hanno raccolto il 9 per cento.
Liviu Dragnea, il leader del PSD, ha già detto che inizierà i colloqui per formare una maggioranza parlamentare con il suo alleato di lunga data, l’Alleanza dei Liberali e Democratici (ALDE), che hanno ricevuto circa il 6 per cento.
“Nei prossimi giorni, PSD e ALDE inizieranno le discussioni al fine di formare una nuova maggioranza in parlamento […] Il voto di oggi indica chiaramente la scelta dei romeni per un futuro Governo”, ha detto Dragnea in una dichiarazione alla stampa.
Dopo l’incendio alla discoteca di Bucarest nell’ottobre dello scorso anno, che è costato 64 vite, decine di migliaia sono scesi in piazza, costringendo il primo ministro Victor Ponta ed il suo Governo PSD a dimettersi.
Un governo tecnico è stato poi installato sotto il primo ministro tecnocrate Dacian Cioloş, 47 anni -un ex commissario europeo.
Il PNL ed il USR hanno affermato che sosterrebbero Cioloş anche se il PSD vorrebbe sostituirlo con la testa del partito Liviu Dragnea, 54 anni, come primo ministro.
Tuttavia, Dragnea sta scontando una sospensione condizionale della pena per frode elettorale, e una legge del 2001 impedisce a chiunque condannato per un reato di diventare Ministro.
Inoltre, il presidente Klaus Iohannis, 57 anni, si è rifiutato di nominare alla carica di Primo Ministro chiunque abbia problemi legali. Ciò consentirebbe anche di escludere un ritorno di Ponta, 44 anni, attualmente sotto processo -in realtà era già sul banco degli imputati mentre era a guida del Governo- per presunta evasione fiscale e riciclaggio di denaro.
La vita politica attuale, in Romania, ruota intorno alle responsabilità dell’incendio della discoteca di Bucarest.
“Gli effetti della corruzione erano improvvisamente chiari agli occhi di tutti: 64 morti”, ha ricordato Mihai Politeanu, il fondatore di una associazione anti-corruzione, Initiativa Romania, creata dopo l’incendio.
Il Direttorio Nazionale Anticorruzione della Romania (DNA) è stato molto attivo e visibile, portando ministri, senatori, parlamentari ed altri funzionari pubblici alla giustizia.
Una recente indagine ha suggerito che il 95 per cento dei romeni vuole che la lotta contro la corruzione sia una priorità per il prossimo Governo, ma ci sono preoccupazioni che questo non accadrà se ci sarà un ritorno del PSD al potere.
Infatti, il PSD è ancora il partito più grande, grazie al supporto solido dei romeni anziani e delle persone nelle zone rurali della Nazione europea sud-orientale che conta 20 milioni di persone. Tuttavia, dopo 27 anni dall’esecuzione sommaria dell’ex dittatore Nicolae Ceausescu e la fine del comunismo, solo il 40 per cento degli aventi diritto al voto si sono recati alle urne.
Che cosa significa il risultato delle elezioni per la lotta contro la corruzione in Romania?
Il fatto che i romeni siano più interessati a creare posti di lavoro ed alla spesa pubblica potrebbe essere un freno per il progresso del Paese nella lotta all’estirpazione della corruzione.
Il Direttorio Nazionale Anticorruzione della Romania (DNA) afferma di aver contribuito a mettere decine di parlamentari, sindaci e magistrati sotto processo nel corso degli ultimi due anni e mezzo, mentre il Governo di Cioloş ha introdotto riforme volte a ridurre la burocrazia, la cattiva amministrazione e la corruzione.
Che cosa significa la vittoria del PSD per la lotta contro la corruzione?
Per quanto riguarda l’evoluzione o una devoluzione futura, tutto dipende dalla vittoria della nuova maggioranza parlamentare.
Ci saranno delle forze in competizione nella nuova maggioranza: alcuni deputati potrebbero voler frenare le attività del Direttorio, mentre altri possono essere riluttanti nel permettere passi che potrebbero danneggiare l’immagine del Paese.
“I risultati delle elezioni significano che avremo un Governo di sinistra”, ha detto il commentatore politico Mircea Marian Reuters. “Il problema principale è che, passo dopo passo, molto lentamente e probabilmente cambierà la legislazione in materia di anti-corruzione”.
Sarà il risultato elettorale a modificare la posizione della Romania nella UE?
La Romania, secondo Stato più povero del blocco, ha ricevuto 6,5 miliardi di euro da parte dell’Unione europea nel 2015 ed il PSD è considerato pro-Europa.
“Il partito socialista in Romania è uno dei pilastri più importanti del socialismo europeo, in termini di deputati al Parlamento europeo”, Dr. Cristian Nitoiu, un esperto di politica presso l’Aston University ha detto ad Euronews. “Essi hanno un buon rapporto con i responsabili politici a Washington e vogliono essere a favore delle decisioni dell’Unione Europea”.
“La Romania rimane un fedele alleato degli Stati Uniti”, ha sottolineato Nitoiu. “Ci sarà bisogno di essere più influenti in Europa per assicurare una Presidenza di successo per l’Unione europea nel 2019”.
La Romania spera in un aiuto di Bruxelles all’inizio del prossimo anno, quando la Commissione europea deciderà se continuare il monitoraggio su Bucarest per il suo progresso nella lotta alla corruzione.
Quali sono state le sorprese delle elezioni?
Una delle sorprese chiave è stata la nascita del nuovo partito dell’Unione Salva Romania, guidato dal matematico e attivista Nicuşor Dan.
Il Partito, che ha portato avanti una campagna sull’anti-corruzione, ha ottenuto circa il 9,2 per cento dei voti.
Un’altra tendenza è stata che i più giovani elettori – che sono scesi in strada per protestare dopo l’incendio della discoteca di Bucarest dello scorso anno – non sono andati alle urne nelle elezioni di domenica, contribuendo alla vittoria del PSD, i cui votanti tradizionali tendono ad essere più anziani e più poveri.
Quale sarà la composizione del nuovo Governo ora?
Il PSD potrebbe teoricamente governare da solo, ma è suscettibile di unire le forze con ALDE (Alleanza dei Liberali e Democratici) per una maggioranza più forte.
Il presidente -di destra- della Romania, Klaus Iohannis, con il compito di nominare il prossimo Primo Ministro del Paese, potrebbe ancora ostacolare l’ascesa al Governo del PSD.
Iohannis ha detto che non nominerà chiunque sia stato condannato o abbia problemi di integrità. Ci sono due candidati di punta ad essere ancora in corsa per diventare il prossimo Primo Ministro della Romania: Vasile Dancu e Liviu Dragnea.
Dragnea, dopo la schiacciante vittoria alle parlamentari, è ora il favorito ed ha in più il sostegno all’interno del partito.
Tuttavia, il problema è il passato di Dragnea: ha una condanna di sospensione di due anni per aver tentato di corrompere il processo del referendum nel 2012.
di Antonella Napoli, Articolo 21
L’uomo, l’umanità, tende a dimenticare. Facilmente. Come scriveva il filosofo Benedetto Croce ciò si attribuisce, erroneamente, al tempo. Ma ‘il tempo’ è un’entità incorporea, che non esiste. Proprio per questo l’oblio è nostra responsabilità: dimentichiamo quando ‘vogliamo’ dimenticare.
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di Luca Mershed
Nei ultimi giorni della sua presidenza, Barack Obama ha causato una tempesta diplomatica senza precedenti con Israele.
L’astensione degli Stati Uniti su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) che condanna gli insediamenti illegali israeliani, ha fatto infuriare il primo ministro Benjamin Netanyahu – ma gli osservatori sono divisi su quanto il voto possa fare la differenza all’interno del quadro del conflitto israeliano-palestinese. …Leggi tutto »
di Luca Mershed
Il weekend scorso mi sono recato a Bucharest, Capitale della Romania, e a Skopje, Capitale della Macedonia, per analizzare da vicino le elezioni parlamentari nel primo caso e quelle governative nel secondo che si sono svolte nei due Paesi domenica 11 dicembre. Vorrei iniziare con l’analisi della Macedonia per poi in altra sede prendere in esame il caso rumeno.
A Skopje, le persone erano entusiaste della possibilità di cambiare il Governo e fra manifestazioni della minoranza albanese nel vecchio bazar della città vecchia e le richieste della gran parte dei macedoni di un’adesione all’Unione Europea l’aria che si respirava era di forte democrazia e speranza per un futuro migliore. Non c’è una ragione particolare per cui gli stranieri dovrebbero prestare molta attenzione alle elezioni in un piccolo Stato balcanico impoverito come la Macedonia, soprattutto quando la storia dopo il voto non è per nulla cambiata.
Ma l’esito delle elezioni di domenica racconta un’importante verità sul limbo strategico che un’Unione Europea in crisi ha creato nei Balcani occidentali. Peggio ancora, come l’influenza di Bruxelles diminuisce, le conseguenze delle elezioni potrebbero trasformare la Macedonia in un campo di battaglia geopolitica che si estende oltre i confini del Paese.
Il Governo macedone guidato dall’Organizzazione Rivoluzionaria Interna (VMRO-DPMNE), ha vinto le sue quinte elezioni parlamentari di fila guadagnando 51 seggi nel Parlamento macedone composto da 123 parlamentari. Nel frattempo, all’interno di un’ampia comunità albanese della Macedonia, l’Unione Democratica per l’Integrazione (DUI) è di nuovo emersa come il più grande partito, con dieci dei 20 seggi che sono andati ai partiti albanesi, raggiungendo la sua sesta vittoria consecutiva nelle elezioni parlamentari. Due seggi non sono stati assegnati a causa della bassa affluenza alle urne.
Dopo dieci anni di questo duopolio etnico, gli ultimi risultati non dovrebbero essere notevoli. La differenza questa volta, però, è che le elezioni sono state precedute dallo scandalo politico più grave nella breve storia della Macedonia come Stato. L’anno scorso, il Partito di opposizione Socialdemocratico di Macedonia (SDSM) ha fatto trapelare delle registrazioni intercettate che, apparentemente, hanno rivelato la prova di spionaggio, corruzione, criminalità, frode elettorale e persino di omicidi da parte dei partiti al Governo.
Ancor più significativa è la capacità dei partiti di Governo di sostenere una grande base di appoggio colonizzando lo Stato e sfruttando il sistema clientelare locale per premiare alleati e distruggere gli avversari. Non solo i partiti hanno portato una serie di istituzioni come il servizio civile, la magistratura, il pubblico ministero e la polizia sotto il loro diretto controllo, riservando l’impiego per gli attivisti del partito. Ma hanno anche esteso la loro influenza in profondità nel settore privato, costringendo le imprese a pagare i servizi ed ai mezzi di comunicazione di rendere omaggio e celebrare le istituzioni.
Niente di tutto questo è sorprendente per chi ha familiarità con la vecchia Jugoslavia. Ciò che è notevole è che la Macedonia è riuscita a preservare le dinamiche essenziali del sistema comunista, con il suo partito di Governo che tutto pervade e che così lontano appare nel ventunesimo secolo.
Anche se i fattori nazionali giocano un ruolo fondamentale, la responsabilità principale di questa situazione è l’Unione Europea, che ha mantenuto la Macedonia in condizioni di mercato precarie per gran parte degli ultimi dieci anni, consentendo ai Partiti di Governo del VMRO-DPMNE e del DUI di acquisire lo Stato macedone.
Inizialmente, l’ostacolo era la disputa sul nome esoterico della Macedonia con la Grecia, che ha congelato l’adesione incipiente del Paese verso l’UE e la NATO. Successivamente, la crisi in Europa ha messo in fase di stallo l’intero processo di allargamento, distruggendo tutta la speranza residua che la Macedonia avrebbe potuto avere per l’adesione all’Unione.
Sullo sfondo di questo, alcuni Governi europei sono stati felici di tollerare la situazione macedone con il compromesso che il Governo mantenesse i migranti fuori dai confini dell’Unione e lasciasse gli investitori stranieri.
Il risultato è che l’UE è stata singolarmente in grado di promuovere la riforma liberale all’interno della Macedonia. Il VMRO-DPMNE ed il DUI hanno avuto pochi motivi per cooperare con le richieste di Bruxelles per aprire il sistema politico ed hanno invece goduto della piena libertà per perseguire i propri interessi.
Questa situazione sarebbe sopportabile per il resto d’Europa, se gli effetti delle sue azioni potrebbero essere contenuti all’interno dei confini della Macedonia. Ma l’attore chiave nel film drammatico della Macedonia è la grande minoranza albanese, che si è dimostrata profondamente scontenta: discriminati da un sistema politico che li relega allo status di seconda classe in uno Stato gestito nell’interesse dei macedoni.
Per anni, gli albanesi hanno portato avanti le loro rimostranze sul presupposto che i loro rappresentanti politici, ex paramilitari che hanno combattuto durante una breve lotta per i diritti albanesi nel 2001, hanno preso a cuore gli interessi dei propri compatrioti. Gli albanesi hanno riposto la loro fede nell’adesione all’Unione Europea.
Tuttavia, prima l’allargamento dell’Unione europea è stato sospeso. Poi, con lo scandalo intercettazioni, è diventato chiaro che il DUI era molto più interessato a fare soldi con mezzi corrotti che garantire i diritti per gli albanesi.
Di conseguenza, si è scatenata un’ondata di rabbia albanese manifestandosi in proteste di piazza, nelle defezioni dal DUI e dai nuovi partiti ribelli. Se un numero sufficiente di albanesi concludono che i mezzi formali per realizzare un cambiamento politico sono bloccati, c’è il rischio reale che alcuni potranno ancora una volta ricorrere ad una violenta agitazione, come hanno fatto quando la loro pazienza è scoppiata nel 2001.
A complicare ulteriormente le cose c’è il fatto che se gli albanesi di Macedonia premono per le loro richieste per un nuovo accordo, quindi il VMRO-DPMNE è probabile che raduni i macedoni in opposizione a questo e chiederebbe il sostegno della Russia, che come la Turchia, vede la Macedonia come un fronte aperto su cui può avanzare.
Per il momento, la Russia e la Turchia possono essere alleati, ma il loro matrimonio temporaneo di convenienza è improbabile che sopravviva alla fine dello Stato islamico ed alla questione di chi governa la Siria. In tali circostanze, la Macedonia potrebbe facilmente diventare un proxy per un nuovo concorso per l’influenza in Medio Oriente, questa volta nel cortile della UE.
Nel frattempo, gli stati regionali è improbabile che rimangano a guardare e lasciare che la Turchia e la Russia decidano il destino della Macedonia.
Tutto questo porta ad una conclusione preoccupante. Non solo si sta dibattendo del passaggio della Macedonia da una relativamente stabile ed occidentale democrazia multietnica ad un semi-autocrazia che vorrebbe eliminare il progetto europeo. Ma con l’UE non in grado di esercitare alcuna influenza significativa nei Balcani, la stabilità interna del Paese sta diventando sempre più precaria.
Le elezioni di domenica non sono probabilmente la fine della crisi politica come l’UE aveva previsto. Più probabilmente, è l’inizio di una nuova e più pericolosa fase che potrebbe diffondersi ben oltre i confini della Macedonia.
di Luca Mershed
Il Tribunale delle Nazioni Unite per la Cambogia ha confermato l’ergastolo ai due maggiori ex leader dei Khmer Rossi per l’accusa di crimini contro l’umanità: un verdetto che è stato ben accolto dai sopravvissuti del brutale regime. …Leggi tutto »
di Luca Mershed
Il Nicaragua è il secondo Paese più povero delle Americhe, secondo solo ad Haiti. La povertà è dilagante ed è facilmente testimoniata percorrendo le sue strade.
Il sogno di costruire un canale attraverso il Nicaragua che collega l’Atlantico ed il Pacifico è rimasto tale per secoli, ma nonostante le prospettive di crescita economica dell’ultimo progetto cinese per il canale che potrebbe trasformare il sogno in realtà, il Paese si sta dividendo.
La proposta del Progetto per il Canale del Nicaragua presenta un classico conflitto tra lo sviluppo economico e la tutela delle risorse naturali del Paese.
In questo caso, si tratta del pericolo in cui potrebbe incorrere il Lago Cocibolca (noto anche come Lago Nicaragua), il più grande lago in America Centrale ed una fonte di acqua potabile per migliaia di nicaraguensi.
Sul lato del Pacifico, la città costiera di Gigante si affida alle risorse provenienti dal mare per i suoi bisogni di base. Questa prospettiva dell’utilizzo delle risorse costiere è destinata a cambiare se il progetto del canale dovesse essere approvato, in quanto la città di Gigante dovrebbe fungere come porto di entrata del Pacifico.
Tuttavia, i meno fortunati – nonostante la mancanza di informazioni a loro disposizione – continuano ad abbracciare il progetto come un potenziale mezzo per sfuggire dalla povertà. Ad essi è stato promesso un cambiamento e più opportunità – ma tutto ciò senza conoscerne le conseguenze.
Monica Lopez Baltodano, che è un avvocato ambientale e direttore del Popol Na Foundation, un’organizzazione che si occupa dei diritti civili locali, vede il progetto del canale come una delle più grandi minacce per le comunità locali. Baltodano mette in guardia dai pericoli che potrebbero derivare dalla messa in atto del progetto come la ricaduta per le risorse locali che influenzerà le vite dei nicaraguensi.
“Vendono i sogni della gente attraverso questo enorme investimento che affermano potrebbe cambiare completamente il sistema economico e la povertà in Nicaragua … è una visione completamente irreale. Non funziona in questo modo”, dice Baltodano rispetto al modo in cui il Governo del presidente Daniel Ortega ha venduto il progetto al pubblico.
Con la maggior parte dei media, completamente controllati dal Governo di Ortega, a cui hanno accesso i nicaraguensi tutti i giorni, la battaglia legale per Baltodano e la fondazione Popol Na è lunga e incerta.
Salvador Montenegro-Guillen, uno dei principali scienziati del Nicaragua, un professore di ecologia e limnologia che un tempo era il direttore del Centro per la Ricerca delle Risorse Idriche del Nicaragua, ha ripreso i sentimenti di Baltodano ed ha espresso le proprie preoccupazioni circa l’importanza del lago.
“Il Lago Cocibolca in realtà è il gioiello della corona di questo Paese, perché nessun altro specchio d’acqua ha la qualità e la quantità di questo lago”, dice il famoso professore di ecologia.
Mentre gli scienziati continuano le loro ricerche per cercare di salvare il Lago, una cosa è diventata evidente: gli effetti tecnici e quelli ambientali dovuti alle opere che hanno portato a scavare il canale porteranno danni irreparabili per il Lago Cocibolca. Il giornale locale Confidencial ha, anche, approfondito la proposta del progetto del canale che ha portato a scoprire che la maggior parte della distanza che percorre il Lago è troppo poco profonda per le finalità del progetto.
“Ciò significa che dovrebbero scavare per circa 20 metri. Come riusciranno a mettere i sedimenti fuori [dell’acqua] e dove hanno intenzione di collocarli? Che cosa significa per il Lago? Devono essere svolti ulteriori studi”, afferma Katherine Vammen, una microbiologa e ricercatrice presso l’Università del Centro America.
Quando si tratta di un dibattito pro e contro, Monica Lopez Baltodano teme il peggio. “Si stanno rischiando tutte le nostre risorse più preziose, colpendo più di 119.000 persone, solo per ottenere 25.000 posti di lavoro per un breve periodo di tempo … non ha alcun senso per nessuno. E temo che stiamo mettendo tutto il nostro futuro a rischio distruggendo il Lago Nicaragua”, sottolinea.
Potrebbe il progetto cambiare le sorti del Nicaragua o rovinare le zone più ecologicamente sensibili del Paese? TechKnow, un’impresa specializzata nell’analisi dei progetti ambientali, è andata in Nicaragua per studiare il progetto del canale in Nicaragua e la potenziale ricaduta e crede che la risposta sia: rovinare l’ecologia della zona.
di Luca Mershed
Continua nel silenzio assordante del mondo la guerra in Yemen e la conta dei morti si aggrava sempre di più.
I combattenti Houthi hanno affermato di aver colpito una nave appartenente ai militari degli Emirati Arabi Uniti facente parte di una coalizione araba che lotta a sostegno del Governo yemenita. …Leggi tutto »