di Luca Mershed, Italians For Darfur
Al culmine di un processo storico, l’ex dittatore del Ciad, Hissène Habré è stato riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità, esecuzioni sommarie, torture e stupri.
Habré, che è stato condannato all’ergastolo a Dakar, in Senegal, è il primo ex Capo di Stato ad essere condannato per crimini contro l’umanità da parte dei giudici di un altro Paese.
Secondo Human Rights Watch, l’organizzazione determinante nel portarlo a processo, egli è anche il primo Capo di Stato ad essere mai stato condannato personalmente di stupro.
Durante lo scorso anno, Habré è stato costretto ad ascoltare 90 persone che lo hanno accusato, testimoniando, di aver gettato migliaia di persone in carceri segrete, dove sono state torturate ed uccise. Il suo caso è stato preso in esame dalle Camere Straordinarie Africane, istituite dall’Unione Africana ed il Senegal, e che Habré ha rifiutato di riconoscere.
I sopravvissuti hanno, anche, descritto le condizioni di detenzione spaventose, in cui fra i detenuti giacevano i cadaveri di coloro che erano soffocati o morti di malattia. Le donne sono state tenute come schiave sessuali.
Il giudice Gbertao Kam lo ha condannato all’ergastolo in un carcere in Senegal. “Alcune vittime che sono ancora vive ancora soffrono gli effetti del suo regime, dei crimini commessi contro di essi”, ha detto. “Habré ha creato un sistema in cui l’impunità e il terrore regnavano. Egli non ha mostrato alcuna compassione verso le vittime o espresso qualsiasi rammarico per i massacri e stupri che sono stati commessi”, ha continuato il giudice.
Dopo che il giudice Kam ha consegnato il verdetto, ci è voluto un minuto per capire cosa stava accadendo. Poi un ululato è passato trai banchi delle vittime: erano le vedove, una fila di donne vestite con colori luminosi che aveva viaggiato dal Ciad per vedere cosa sarebbe successo all’uomo responsabile della morte dei loro mariti. Dopo decenni di attesa, possono finalmente festeggiare. L’aula è esplosa in applausi e pianti.
Quasi tre decenni fa, Souleymane Guengueng, un ex ragioniere che ancora non sa il motivo per cui è stato imprigionato, ha promesso nella sua cella, incredibilmente affollata, che se fosse sopravvissuto, avrebbe combattuto per la giustizia. Lunedì, ha potuto sollevare il pugno, e abbracciare i suoi compagni -vittime come lui- da cui ha faticosamente raccolto per decenni la testimonianza. Il suo lavoro è stato fondamentale per il processo.
Clemente Abaifouta, raccontando che durante i suoi quattro anni di detenzione doveva seppellire i corpi in putrefazione dei suoi compagni di cella morti, è saltato su e giù ed ha gettato il cappello in aria, al grido di “Vive la victoire”.
Mentre centinaia di persone applaudivano e celebravano, Habré è stato condotto fuori dal tribunale. Sprezzante con i suoi occhiali da sole cerchiati d’oro ed un turbante bianco che oscurava gran parte della sua faccia, Habré era stato portato nella corte il primo giorno scalciando ed urlando, ma da allora si è nascosto in cantieri di tessuto non pronunciando una parola.
Il giudice ha spiegato che Habré era molto informato su ciò che stava accadendo e ha dato egli stesso gli ordini di esecuzione di molti crimini. “Habré era stato direttamente informato sulla precaria situazione dei prigionieri di guerra, ma aveva ordinato che non un solo prigioniero di guerra aveva il permesso di lasciare la galera finché non era morto”, ha affermato.
“Il suo metodo era del tutto coerente: identificare i nemici del regime, arrestarli, torturarli, sottoporli a condizioni orribili, ucciderli. Le testimonianze di violenza sessuale sono state considerate molto credibili dal giudice. La corte è convinta che le donne abbiano detto la verità”, ha concluso il giudice.
“Questo giudizio è così sorprendente”, ha detto Reed Brody, l’avvocato di Human Rights Watch conosciuto come il Caccia Dittatori, che ha combattuto al fianco delle vittime a partire dal 1999 per ottenere che Habré fosse processato per quello che aveva fatto.
“La condanna di Habré per questi crimini orribili dopo 25 anni è una vittoria enorme per le vittime ciadiane, senza la cui tenacia questo processo non sarebbe mai avvenuto”, ha detto Brody. “Questo verdetto invia un messaggio forte che i giorni in cui i tiranni violino i diritti delle persone, saccheggino i loro beni e scappino all’estero per una vita di lusso stanno volgendo al termine. Questa giornata sarà scolpita nella storia come il giorno in cui un gruppo di sopravvissuti ha portato il loro dittatore alla giustizia”, ha terminato affermando con orgoglio.
Il figlio di Habré, Bechir Hissène Habré, è stato in tribunale, e ha detto che Idriss Déby, l’attuale Presidente del Ciad, che ha spodestato Habré in un colpo di Stato, potrebbe rispondere per quello che è successo a suo padre. Habré ha vissuto a Dak
|
di Luca Mershed
Nicolas Maduro ha dichiarato lo Stato di emergenza e lo Stato di emergenza economica in Venezuela “per proteggere la Patria”, “affrontare le minacce esterne” ed anche “sconfiggere il colpo di Stato in atto”. Il Presidente ha dato l’annuncio in una trasmissione televisiva al Paese, dove ha anche comunicato di aver ordinato il ritorno a Caracas di Alberto Padilla, il suo ambasciatore in Brasile, prima del “colpo di Stato” progettato dal Senato contro Dilma Rousseff.
“Ho deciso di adottare un nuovo decreto per la necessità di sconfiggere il colpo di Stato, la guerra economica, stabilizzare socialmente il Paese ed affrontare le minacce contro il Paese “, ha detto il presidente Maduro.
“Questo decreto non consente di sospendere le manifestazioni, ma può essere utilizzato illegalmente”, ha detto José Vicente Haro, costituzionalista del canale NTN24. L’annuncio di Maduro si verifica dopo aver esaurito i 120 giorni del decreto di emergenza precedente, in cui “si sono promulgati 21 decreti per proteggere il popolo e la stabilità del Paese. Sono decreti di pace, di amore, di protezione nel quadro della Costituzione”, ha affermato il Presidente.
Però, la sintesi del decreto di emergenza non può essere peggiore per il Venezuela: infatti l’inflazione sta distruggendo le tasche del suo popolo e la scarsità di cibo, medicine e materie prime cresce di settimana in settimana. Questo decreto era stato approvato con la forza dell’ideologia rivoluzionaria nonostante il voto negativo dell’Assemblea Nazionale, grazie ad una decisione del Tribunale Supremo di Giustizia. La Costituzione indica che il decreto doveva essere approvato dall’Assemblea Nazionale, qualcosa di irrealizzabile dopo la giurisprudenza creata dal Tribunale Supremo di Giustizia.
Durante il suo discorso, Maduro è tornato a scatenarsi contro l’opposizione e contro il presidente Barack Obama, il quale ha accusato il Governo di non democraticità.
Tutto ciò è stato la premessa alla decisione del 18 maggio del Parlamento del Venezuela che ha respinto il prolungamento dello “Stato di emergenza e dello Stato di emergenza economica” giudicando “incostituzionale” il decreto emanato venerdì dal presidente Nicolas Maduro.
“È un decreto che ignora la Costituzione ed ignora il dolore delle famiglie venezuelane”, ha detto l’opposizione parlamentare, rappresentata da Julio Borges, durante una sessione legislativa. Il decreto, pubblicato ieri nella Gazzetta ufficiale, permette di “dettare misure e piani speciali per la pubblica sicurezza per garantire la sostenibilità delle forze dell’ordine durante azioni destabilizzanti”. Borges, leader del blocco di maggioranza dell’opposizione, ha criticato la norma perché non risolverà i problemi sociali, economici e politici ma addirittura li peggiorerà. Dal suo punto di vista, “l’unica cosa che interessa” il presidente Maduro è “rimanere al potere”, ma ha avvertito che “il popolo venezuelano potrà revocarglielo attraverso il voto”.
Il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Henry Ramos Allup, ha sottolineato che “questo Governo si trova in una situazione molto difficile e molto fragile e, non avendo la capacità di mantenere una pace sociale, cerca dei mezzi illegali per restare al potere”. A suo parere, Maduro “è in uno stato di disperazione”, e non si sta attenendo alla Costituzione con la scelta di promulgare questo decreto.
“Con questo atto vengono violate una serie di regole che vanno direttamente contro la Costituzione, come per esempio, non poter dettare mozioni di sfiducia, non poter approvare crediti addizionali e quindi il Presidente può spendere senza freni e senza alcun controllo”, ha detto Ramos Allup.
Il deputato chavista, Elias Jaua Chavez, ha accusato il blocco di maggioranza dell’opposizione di voler legiferare senza il popolo, ed ha indicato che con il decreto, Maduro cerca di evitare una “guerra civile” che è promossa dall’opposizione e dall’imperialismo. “Questo decreto per uno Stato di emergenza è quello di proteggere i venezuelani e garantire il diritto alla vita ai venezuelani”, ha concluso il deputato.
Il decreto, ufficializzato lunedì, è una norma con la quale Maduro propone di affrontare la presunte minacce di un colpo di Stato che è stato portato avanti dagli Stati Uniti con l’aiuto dell’opposizione venezuelana e il sostegno dell’ex presidente colombiano Alvaro Uribe, secondo quanto affermato di recente. “Lo Stato di emergenza e lo Stato di emergenza economica sono dichiarati (…), date le circostanze sociali, economiche, politiche, naturali ed ecologiche che potrebbero compromettere seriamente l’economia nazionale, l’ordine costituzionale, la pace sociale, la sicurezza della Nazione”, dice l’articolo 1 della norma del decreto.
La norma permette di “dettare misure e piani speciali per la pubblica sicurezza e garantire il mantenimento dell’ordine pubblico in azioni destabilizzanti che cercano di irrompere nella vita interna del Paese o le relazioni internazionali di questo”.
Il decreto si basa, tra l’altro, nella “considerazione” che la maggioranza dell’opposizione del Parlamento presumibilmente pretende “il disconoscimento di tutte le autorità pubbliche” e promuove “l’interruzione del mandato presidenziale stabilito nella Costituzione da qualsiasi meccanismo a loro disposizione al di fuori dell’ordine costituzionale”.
di Pino Scaccia
L’esempio più clamoroso è sicuramente quello di Guido Menzio, l’economista italiano fatto scendere dall’aereo per colpa di una signora ignorante e sospettosa che ha scambiato appunti di fisica per scritte in arabo. Ma gli episodi sono tanti: clamoroso l‘equivoco capitato a Nainggolan, calciatore della Roma, scambiato per un terrorista dai clienti di un albergo ad Anversa, la sua città, solo perché ricoperto di tatuaggi. …Leggi tutto »
|
Altri 4
Mostra dettagli
|
di Antonella Napoli
Da Washington a Roma, attivisti di tutto il mondo e rifugiati sudanesi hanno manifestato per richiamare l’attenzione dei media e delle istituzioni sulle nuove violenze in Sudan.
Nella capitale l’organizzazione Italians for Darfur e i rifugiati sudanesi in Italia, con il supporto di Articolo 21 e della rete “Illuminare le periferie”, hanno animato un flash-mob al Colosseo, luogo simbolico per le battaglie sui diritti umani.
…Leggi tutto »
di Antonella Napoli, Articolo 21
Alla vigilia di un weekend all’insegna del giallo per Giulio Regeni, con gli striscioni esposti in tutti gli stadi italiani e il flash-mob di Amnesty a Milano, domenica 24 aprile alle 16, in piazza della Scala, dall’Egitto ci arriva un’ennesima, atroce storia di violenze e sevizie.
Human Rights Watch, riportando le testimonianze dei familiari e degli avvocati di 20 giovani egiziani, arrestati ad Alessandria e trattenuti per giorni senza processo e senza che le famiglie ne fossero informate, denuncia che lo scorso febbraio sono stati torturati dalle autorità per diversi giorni. Tra le vittime anche otto minorenni.
Manifestazione non autorizzata, atti di vandalismo, adesione a gruppi eversivi, questi i reati contestati. …Leggi tutto »
di Luca Mershed
Nella notte di domenica, i legislatori brasiliani hanno votato per approvare l’impeachment verso Dilma Rousseff, primo Presidente donna della Nazione, il cui mandato è stato sballottato da uno scandalo di corruzione vertiginosa, un’economia in contrazione ed una disillusione diffusa. …Leggi tutto »
di Antonella Napoli
Quaranta giovani italiani saranno tra gli ambasciatori nel mondo di One, l’organizzazione fondata nel 2004 da Bono Vox, leader degli U2, e sostenuta da oltre 7 milioni di persone che concorrono alla realizzazione di campagne e di iniziative di sensibilizzazione sulla povertà estrema e le malattie prevenibili, soprattutto in Africa. …Leggi tutto »
di Luca Mershed, Italians for Darfur
Un importante passo storico per il Darfur inizia con il referendum di questa settimana che offrirà l’opportunità di unificare i cinque Stati della Regione del Sudan, una richiesta di lunga data dei ribelli che cercano una maggiore autonomia. L’instabilità in corso tra gli insorti sta, però, boicottando il referendum.
Aver diviso la regione del Darfur in cinque Stati secondo fattori etnici e tribali ha condotto alla frammentazione del tessuto sociale ed ha distrutto la coesione regionale ed il senso di appartenenza. Queste fratture sono state gestite dal Governo di Khartoum attraverso molti crimini e la creazione di focolai di terrorismo in cui il Governo ha portato i terroristi di Boko Haram, al Qaeda e l’ISIS.
La vasta regione del Darfur nel Sudan occidentale ha subito, dalla guerra civile del 2003, un altissimo logoramento che ha portato alla morte di 300 mila persone, secondo le Nazioni Unite (ONU) e 10 mila, secondo il regime di Khartoum, ed ha causato lo sfollamento di 2,7 milioni di rifugiati. Tuttavia, nel corso degli ultimi 13 anni dallo scoppio della guerra in Darfur, la macchina di annientamento del regime ha provocato circa 400 mila morti, più di 3 milioni di sfollati e circa 600.000 persone sono state costrette ad attraversare le frontiere con il vicino Ciad e la Repubblica Centrafricana.
Gli obiettivi del Regime per il referendum amministrativo previsto per il Darfur l’11 aprile 2016 includono:
In tal modo, il regime al potere sta preparando un falso referendum amministrativo i cui risultati sono noti in anticipo; il capo del regime Omar al-Bashir è il giudice e carnefice allo stesso tempo.
Nonostante gli evidenti problemi, al-Bashir ha detto che “il popolo del Darfur sceglierà se vogliono degli Stati o una Regione e stiamo tenendo questo referendum in modo che nessun altro possa venire a dire che vogliamo questo o quello”.
Il Partito Nazionale del Congresso dice che cinque Governi statali sono maggiormente in grado di prendersi cura del popolo del Darfur rispetto ad una singola amministrazione. Dalla sua incorporazione al Sudan nel 1916 fino al 1994, il Darfur è stato una regione unita. Nel 1994, al-Bashir ha diviso il Darfur in tre Stati aggiungendone altri due nel 2012.
Attraverso la paura ed il controllo della gran parte della Regione, il risultato del referendum sembra palesemente scontato: coloro che volessero l’unità sembrano rassegnarsi prima del voto.
Il Governo ha, anche, sottolineato che il voto è uno dei termini dell’accordo di pace del 2011 tra Khartoum ed alcuni gruppi di ribelli. Alcuni dei gruppi che hanno firmato il trattato hanno iniziato una campagna per una sola Regione, ma altri ribelli non firmatari hanno detto che il risultato sarà privo di significato perché a causa dei disordini nella Regione molti non voteranno -in particolare gli sfollati–, mentre il Governo mobiliterà i suoi sostenitori nelle Capitali di Stato e nelle grandi città.
“Il referendum non è una priorità per il Governo che è pronto a ignorare i punti più importanti del trattato di pace” ha detto Abdullah Mursal, leader nella fazione del Movimento per la Liberazione del Sudan guidato da Minni Minnawi.
Alcuni gruppi affermano che il referendum può essere valido solo quando tutti gli sfollati interni tornino a casa e possano recarsi alle urne. “La priorità è il ritorno degli sfollati ai loro villaggi”, ha detto il portavoce del Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza, Jibril Bilal. “Così com’è, qualunque sia il risultato, il referendum non significa nulla”, ha concluso.
Ad un giorno del referendum non è ancora chiaro come la votazione si svolgerà nei campi per sfollati. Molti sono pattugliati dalle forze di pace internazionali. Tuttavia, la Commissione referendaria ha sottolineato che l’interesse per il voto è stato alto con “3.583.105 di 4.588.300 persone con diritto al voto”. Tale numeri non possono essere verificati in modo indipendente perché l’accesso della stampa nella regione del Darfur è limitato.
L’obiettivo di tenere il referendum può anche essere, semplicemente, quello di dimostrare alla comunità internazionale le buone intenzioni del Governo. Dietro a questa buona intenzione bisogna prestare attenzione ai modi in cui viene espletata: fino ad adesso è stato appurato che la buona intenzione c’è, ma il referendum nasconde, come detto, tanti aspetti negativi che non rendono veritiero e giusto il processo di voto.