Giulio Regeni è stato torturato, il suo corpo sul lettino dell’obitorio, dove lo hanno rivisto i genitori arrivati al Cairo pochi giorni dopo il suo ritrovamento, era ricoperto di lividi e di segni di bruciature. Il suo volto trasfigurato, tant’è che mamma Paola ha raccontato che l’unica cosa che aveva riconosciuto di suo figlio era la “la punta del naso”.
E’ stata questa, forse, la parte più toccante dell’affollata conferenza stampa in Senato accanto al presidente della Commissione diritti umani di palazzo Madama Luigi Manconi.
Ma non sono mancati momenti forti e di denuncia che hanno avuto un unico filo conduttore: “Basta con le menzogne, l’Egitto dica la verità sull’omicidio di Giulio Regeni” …Leggi tutto »
di Luca Mershed, Italians for Darfur
di Luca Mershed
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è arrivato nel pomeriggio di domenica a Cuba per una visita storica con lo scopo di ricucire i rapporti congelati da sessant’anni tra i due Paesi.
L’Air Force One, l’aereo presidenziale degli Stati Uniti dove Obama ha viaggiato accompagnato dalla moglie Michelle, le figlie Malia e Sasha e sua madre Marian Robinson, è atterrato all’aeroporto internazionale dell’Avana alle 16.30 ora locale.
Obama è stato accolto dal Ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, dai membri della Cancelleria dell’isola e dai funzionari dell’ambasciata degli Stati Uniti a Cuba.
A pochi minuti dall’atterraggio, è apparso un messaggio sull’account Twitter del presidente Barack Obama parlando ai cittadini cubani con un “Qué bolá Cuba?” Una forma colloquiale cubana per dire “Come sta Cuba?”
Ha continuato dicendo: “Sono appena atterrato con la speranza di incontrare ed ascoltare il popolo cubano direttamente”.
Più tardi, dopo aver scambiato qualche parola con i dipendenti dell’ambasciata degli Stati Uniti, Obama ha descritto la visita come un’opportunità storica per incontrare il popolo cubano.
Egli ha sottolineato che spera per le generazioni future che queste visite siano qualcosa di naturale.
Obama e la sua famiglia hanno camminato nella parte Vecchia de L’Avana, il centro storico della città, ed hanno visitato la cattedrale, dove sono stati ricevuti dall’Arcivescovo Jaime Ortega, che aveva facilitato i contatti segreti tra gli Stati Uniti e Cuba nel 2014.
Il Presidente ha incontrato, lunedì, il presidente cubano Raul Castro anche se non era presente il leader rivoluzionario Fidel Castro.
Raúl Castro ed il presidente Obama hanno partecipato alla conferenza stampa davanti ai media internazionali. La conferenza è iniziata con una stretta di mano accompagnata da sorrisi a simboleggiare il riavvicinamento dei due Paesi. I due Presidenti hanno rivelato che durante il loro incontro hanno discusso la revoca dell’embargo degli Stati Uniti, la mancanza di libertà a Cuba, il processo di pace in Colombia, la lotta contro il traffico di droga, e la crisi economica e politica in Venezuela.
Obama ha descritto il nuovo rapporto bilaterale con frasi enfatiche: “Il destino di Cuba non sarà deciso dagli Stati Uniti o da qualsiasi altra Nazione, il futuro di Cuba sarà deciso dai cubani”. “Non possiamo forzare le cose a cambiare in un determinato Paese. I cambiamenti devono provenire da dentro “, ha detto Obama. Castro ha, invece, risposto: “Sono sicuro che riusciremo a vivere in pace in un ambiente collaborativo, come stiamo già facendo”.
Ad una domanda del giornalista della CNN, Jim Acosta, sui prigionieri politici, Castro ha risposto in modo deciso che non ce ne sono a Cuba ed ha aggiunto: “Dammi la lista dei prigionieri politici per liberarli. Dammi i nomi. Se ci sono prigionieri, stasera saranno liberati”. Al termine della conferenza stampa, Castro si è rivolto alla stampa statunitense affermando: “Quanti Paesi soddisfano i 61 diritti umani e civili? Lo sapete? Nessuno”. Secondo il presidente, Cuba ne soddisfa 47 ed ha insistito che questioni come la sanità e l’istruzione sono migliori nel loro Paese che negli Stati Uniti. Obama, al suo fianco, è rimasto in silenzio.
Il Governo cubano ha dichiarato che è disposto a discutere tutte le questioni rimaste irrisolte, anche quelle relative ai diritti umani e alla democrazia.
Nel frattempo, Cuba continua a protestare contro l’occupazione della base navale statunitense di Guantanamo e l’embargo che da decenni mette in seria difficoltà il popolo dell’Isola.
Lorusso e Giulietti (Fnsi): “Il governo italiano si attivi per evitare che il processo ai giornalisti turchi Can Dundar e Erdem Gul diventi un attentato alla libertà di stampa”
“Il processo a carico dei giornalisti turchi Can Dundar e Erdem Gul va fermato. Il governo italiano si mobiliti insieme con le altre istituzioni europee”. Alla vigilia della prima udienza del processo, fissata per domani, contro il direttore e il caporedattore del quotidiano turco di opposizione ‘Cumhuriyet’, accusati di spionaggio e divulgazione di segreti di Stato, la Federazione nazionale della stampa italiana, al pari di altri sindacati europei dei giornalisti, chiede un intervento deciso sul governo turco. “Dopo aver sollevato il problema in un recente vertice dei capi di governo, tenutosi a Bruxelles – dicono Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Fnsi – è auspicabile che il premier Matteo Renzi si attivi per evitare che in Turchia vengano ulteriormente calpestati il diritto di cronaca e la libertà di stampa. Come ha ricordato Can Dundar in un articolo pubblicato su ‘Le Monde’, in Turchia i giornalisti sono liberi di fare domande, a condizione però di correre il rischio di perdere il lavoro o di finire in galera. Questa situazione ha trasformato la Turchia in una delle più grandi prigioni per giornalisti del mondo”. L’appello della Fnsi si unisce a quello che i giornalisti francesi hanno rivolto al presidente Francois Hollande, al quale hanno ricordato che non si può barattare la libertà di stampa in Turchia in nome dell’accordo fra Bruxelles e Ankara sulla crisi dei migranti.
di Fernando Cancedda
Dovrebbe apparire ovvio, ma non lo è. Il terrorismo è per definizione un’azione dimostrativa, che si propone come obiettivo principale di suscitare emozioni e sentimenti sia nelle popolazioni colpite che tra i fanatici che ne apprezzano l’uso. Reazioni di paura e di vendetta nelle prime, di soddisfazione e di orgoglio nei secondi. …Leggi tutto »
di Elisa Marincola
Poche righe, perché oggi non possiamo evitare di richiamare alla riflessione. Proprio oggi, che sembra vitale inseguire l’ultimo aggiornamento che arriva dalla capitale d’Europa, colpita dall’interno. …Leggi tutto »
di Cecilia Brighi
segretario generale dell’associazione Italia-Birmania Insieme
Negli ultimi cinque anni, con l’arrivo del primo governo semi civile, in Birmania si era cominciato ad intravedere un processo di apertura politica e sociale, fino ad allora inimmaginabile. La maggior parte dei prigionieri politici era stata liberata, molte leggi repressive erano state modificate, la quotidianità non era più sottoposta a rigidi controlli di polizia e con l’approvazione delle norme che vietano il lavoro forzato, le sanzioni politiche ed economiche UE e USA erano state cancellate. …Leggi tutto »
di Alex Zanotelli
Le decisioni prese in questi giorni, sia dal governo Renzi che dal Parlamento, sulla gestione pubblica dell’acqua, sono di una estrema gravità perché un governo democratico rifiuta quello che il popolo aveva già deciso con il Referendum del 2011.
E’ stato ora diffuso il Testo unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della Legge Madia n. 124/2015, che si prefigge gli obiettivi di “ridurre la gestione pubblica dei servizi ai soli casi di stretta necessità” e di “garantire la razionalizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali in un’ottica di rafforzamento del ruolo dei soggetti privati.” In questo Testo unico c’è l’obbligo di gestione dei servizi pubblici locali attraverso società per azioni, nonché l’obbligo, ove la società per azioni sia a totale capitale pubblico, di rendere conto delle ragioni del mancato ricorso del mercato ed infine di presentare un piano economico-finanziario sottoscritto da un Istituto di credito. Un segnale più chiaro del totale disprezzo della volontà popolare espressa nel Referendum , non ci potrebbe essere.
A questo si aggiunge il “blitz” di pochi giorni fa, fatto da Renzi-Madia in Commissione Ambiente della Camera, dov’era in discussione la Legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, che aveva ricevuto nel 2007 oltre quattrocentomila firme, che è stata ripresentata in questa legislatura da un inter-gruppo parlamentare (M5S , Sel e alcuni PD) . Il “blitz” Renzi- Madia è avvenuto il 15 marzo, quando in Commissione Ambiente è stato approvato un emendamento che abroga l’articolo 6 del progetto di legge che definiva il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e ne disponeva l’affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico, vietando l’acquisizione di quote azionarie. Tutto questo è stato cancellato per volontà del governo Renzi e del PD. Un atto parlamentare questo che costituisce il tradimento totale della volontà popolare espressa nel Referendum del 2011. I deputati M5S e Sinistra Italiana hanno abbandonato i lavori della Commissione, lasciando che fosse approvata dalla sola maggioranza con l’accordo del governo. Il PD si difende dicendo che l’acqua resta pubblica, ma che può essere gestita dai privati! Infatti il nodo centrale è proprio la gestione, perché questo Testo unico e le nuove norme sui servizi locali rendono eccezionale una gestione pubblica e reintroducono “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, cancellata dal referendum del 2011. E pensare che Renzi nel 2011, allora sindaco di Firenze, aveva proclamato il suo Sì per l’acqua pubblica!
Quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi è di una gravità estrema.
Per questo mi appello a i 26 milioni di italiani/e perché si informino e si mobilitino(sit-in, sensibilizzazione nelle proprie realtà locali) contro la stravittoria del neoliberismo, del mercato, dei profitti e si ribellino scendendo in piazza.
Mi appello ai vescovi italiani perché si esprimano sulla questione acqua, che già il Papa nell’enciclica Laudato Sì ha definito “diritto umano essenziale, fondamentale e universale” anzi ,”come diritto alla vita”.
Mi appello ai preti, perché sensibilizzino i loro fedeli nelle omelie domenicali.
Mi appello alle comunità cristiane, dopo una così forte dichiarazione del Papa sull’acqua, perché ritornino a impegnarsi e a ricongiungersi con il grande Forum Italiano dei Movimenti dell’acqua pubblica, che ha portato nel 2011 alla vittoria referendaria. Dobbiamo ora ottenerne un’altra! Si tratta di vita o di morte per noi e per gli impoveriti. Infatti sia per noi, ma soprattutto per gli impoveriti, è l’acqua (la Madre di tutta la vita) il bene più prezioso, che sarà sempre più scarso per il surriscaldamento del Pianeta. Se permetteremo alle multinazionali di mettere le mani sull’acqua, avremo milioni di morti di sete. La gestione dell’acqua deve essere pubblica, fuori dal mercato e senza profitto, come sta avvenendo a Napoli, unica grande città italiana ad aver obbedito al Referendum.
Diamoci tutti/e da fare perché il nostro governo obbedisca a quanto ha deciso il Popolo italiano nel 2011.
di Daniela Oberti, infermiera MSF nel campo di Idomeni
La situazione è sempre più drammatica al campo di Idomeni: più di 12 mila persone, di cui il 50% sono donne e minorenni. Altre 23mila circa sono in altri campi, città o isole della Grecia, tutti in attesa delle decisioni sul “border” dal quale dipenderà la loro sorte.
Dopo ormai dieci giorni di pioggia, freddo e fango, oggi è finalmente tornato il sole. Non l’ho mai desiderato tanto. Ci sono persone ferme al campo da 15, 20 giorni, forse più. Le loro condizioni di salute stanno peggiorando. Chi è sano si ammala per il freddo: tosse, bronchiti, mal di gola, ma anche vomito, diarrea. Chi era già malato, per una patologia cronica, o chi è più debole, come neonati, anziani, disabili, donne incinte, corre grossi rischi!
L’ambulatorio “Free Doctor”
L’ambulatorio è sempre pieno, lavoriamo no-stop, con turni che coprono giorno e notte, 2000 consultazioni a settimana. Il personale aumenta, ma non basta mai, perché nell’ultima settimana i casi gravi, le emergenze da mandare in ospedale sono aumentati: donne incinte che svengono, bambini con convulsioni per la febbre alta, attacchi d’asma, infarti, attacchi di panico.
Perché lasciare queste persone al freddo e far sì che si ammalino? Ci sarebbero state tutte queste emergenze se queste persone fossero state in un riparo caldo e protetto?
Idomeni è una gabbia a cielo aperto, poco spazio, tanta gente, troppa. Ognuno reagisce a modo suo allo stress di questa stretta convivenza, che va a sommarsi al passato violento e all’incertezza del futuro. C’è chi si arrabbia, chi piange, chi si dispera, chi si rifiuta di parlare e mangiare…Io sarei già impazzita…C’è anche si cerca una quotidianità normale: fare legna per il fuoco, giocare a pallone, radersi la barba, fare il bucato, vendere sigarette o pentole.
I papà di Idomeni
Un papà siriano ha portato la sua bimba, di nome Syria, in ambulatorio per un’eruzione cutanea. Lei, bionda e occhi azzurri, era impaurita dai miei guanti. Vengono da Aleppo, il papà mi mostra le braccia piene di cicatrici rosse e mi dice che sono l’effetto delle bombe lanciate sulle loro case dai raid russi un mese fa. “Grazie a Dio siamo vivi: io, mia moglie e i miei quattro figli”, conclude.
È quasi sera quando ci portano un uomo sui 30 anni, incosciente, che delira, serra la bocca e strizza gli occhi. Emette solo versi. Ha le mani e i piedi molto freddi. Lo copriamo con la coperta termica e poi quella di lana. Proviamo pressione arteriosa, frequenza cardiaca, ossigenazione del sangue, glicemia, temperatura: tutto è nella norma. Chiediamo informazioni ai due accompagnatori, due uomini, suoi amici. Ci dicono che da due settimane è nella tenda, non parla e mangia poco. È da solo lui con un bimbo di 3 anni. La moglie è morta in Siria. Cerchiamo di calmarlo, di parlargli piano. Chiamiamo la psicologa che le parla cautamente.
Finalmente apre gli occhi, accetta di stare sul lettino della sala di osservazione e riposare. Dopo poco si addormenta. Come un bambino sfinito dopo aver pianto a lungo. I due amici restano sempre con lui, sono molto preoccupati. Ci chiedono se possiamo fare qualcosa per lui e il suo bimbo. Se possiamo chiedere alle autorità macedoni di aprire il confine per un’eccezione, perché non può restare in questa situazione nel campo. Gli rispondiamo che il “border is closed” e non possiamo fare nulla. Solo offrirgli il supporto dei nostri psicologi.
Sono persone forti
Tante storie, ci sarebbe da scrivere un libro intero. Sono persone forti, penso. A volte mi chiedo come abbiano fatto a sopravvivere nel loro Paese e al viaggio, soprattutto quando vedo anziani, persone in carrozzella senza arti. Non hanno forse già sofferto a sufficienza?
Dovremmo accoglierli dignitosamente, invece i muri e i fili spinati crescono ogni giorno aggiungendo nuova sofferenza alla sofferenza passata. Tutti necessiterebbero di un supporto psicologico. Sono uomini e donne come noi. L’unica differenza tra me e loro è che io ho la fortuna di essere nata e vivere in un Paese in pace. Loro hanno avuto la sfortuna di nascere o aver vissuto nel Paese sbagliato o nel momento sbagliato della Storia.
C’è chi racconta di una Siria bellissima prima della guerra. Vorrebbero tornarci, ma anche laddove non ci sono bombe, mancano ospedali, fornitura di cibo, di beni di prima necessità, scuole, rete idrica, fognaria. Un Paese tutto da ricostruire.E poi c’è chi viene dall’Iraq: insicurezza e attentati continui, la paura dell’ISIS. E chi viene dall’Afghanistan? E la Somalia? L’Etiopia? La Libia? L’elenco purtroppo è lungo…
Un’Europa che sappia accogliere
Ogni giorno auto di greci e volontari da ogni dove arrivano con vestiti, pannolini, pane, giocattoli… credo che questa sia la vera Europa: persone che capiscono la sofferenza altrui e cercano di mettere una toppa laddove qualcuno ha dato uno strappo. Voglio credere nella forza dell’uomo, capace di ‘compatire’ l’altro, di andare oltre le decisioni politiche e del filo spinato.
Il futuro non promette bene in merito a guerre, dittature, disuguaglianze e limitazione della libertà. Le persone, quindi, saranno sempre più obbligate a scappare, in cerca di una vita migliore, sicura, tranquilla per sé e i propri figli. Dobbiamo essere pronti a creare un terreno ospitale. Queste persone potevamo essere noi. Incontro anche infermieri, medici siriani che parlano bene l’inglese, mi dicono chiaramente il loro problema di salute, il farmaco di cui necessitano. È come parlare con dei colleghi dell’ospedale di Bergamo, li sento molto vicini per studi fatti e lavoro svolto. Spesso mi chiedono se possono rendersi utili per aiutare come volontari nell’ambulatorio.
In questa festa del papà penso ai due papà siriani incontrati, ma anche a tutti gli altri che si sentono la responsabilità di offrire un luogo sicuro e un futuro dignitoso alla loro famiglia: a quei papà che a volte piangono in ambulatorio, che sono preoccupati per la febbre del loro bambino, che cercano un posto nella tenda riscaldata, che fanno la lunga fila sotto la pioggia per prendere il cibo e poi la fila per le coperte…