News

Accordo Ue-Turchia, un colpo di proporzioni storiche ai diritti umani

di Amnesty Italia

Un colpo di proporzioni storiche ai diritti umani“. Secondo Amnesty International, il “doppio linguaggio” collettivo dei leader europei non riesce a nascondere le enormi contraddizioni dell’accordo siglato venerdì 18 marzo tra Unione europea e Turchia sulla gestione della crisi dei rifugiati. …Leggi tutto »

Firenze, una piazza per Alpi e Hrovatin

di Fnsi FVG

Ventidue anni fa, il 20 marzo 1994, la giornalista Ilaria Alpi e l’operatore triestino Miran Hrovatin vennero uccisi in un agguato a Mogadiscio, in Somalia, mentre svolgevano un’inchiesta giornalistica.

Oggi, a 22 anni dalla loro scomparsa, una piazza li ricorda a Firenze. Il Comune del capoluogo toscano ha fatto propria la proposta della Comunità delle Piagge, il comitato locale che si è fatto promotore del riconoscimento alla loro memoria.

Alla cerimonia ufficiale, prevista domani sabato 19 marzo alle 11 con la posa delle targhe da parte del Comune di Firenze, è stata invitata anche la Fondazione Luchetta, Ota, D’Angelo, Hrovatin, nata all’indomani dei quattro lutti che nel 1994 colpirono il mondo del giornalismo triestino.

La tragedia di Mogadiscio avvenne infatti a soli due mesi dal 28 gennaio, quando gli inviati Rai Marco Luchetta, Alessandro Ota e Dario D’Angelo vennero uccisi a Mostar da una granata mentre stavano realizzando uno speciale TG1 sui bambini vittime della guerra nell’ex Jugoslavia .

Così, al 22° anniversario della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e a due settimane dalla riapertura del processo sul loro omicidio (il 6 aprile a Perugia), la presidente della Fondazione, Daniela Luchetta, si recherà a Firenze per raccontare lo spirito con cui è nata la onlus che da allora opera a Trieste a favore dei bambini vittime delle guerre o incurabili nei loro Paesi d’origine.

Di questo – e delle ultime novità sulla Fondazione – la presidente Daniela Luchetta parlerà a Firenze anche il giorno successivo, nel corso dell’incontro pubblico “Inaugurazione di piazza Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Alla ricerca di verità e giustizia nel ricordo dei giornalisti uccisi perché sapevano troppo” organizzato dalla Comunità delle Piagge insieme a Mariangela Gritta Greiner, già presidente dell’associazione Ilaria Alpi, alla giornalista esperta di segreti di Stato, Sandra​ ​Bonsanti, a Ornella De Zordo, promotrice della mozione approvata dal Consiglio comunale per l’intitolazione della piazza, e a Alessandro Santoro e Cristiano Lucchi della Comunità delle Piagge.

Nel pomeriggio del 20 marzo sarà proiettato il video documentario “Saluti da Miran” realizzato nel 2014 da Videoest con il contributo del Fondo per l’Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia e distribuito dal quotidiano Il Piccolo.

Convenzione Stato-Rai. Così parlò Giacomelli

di Vincenzo Vita

Finalmente, il sottosegretario Giacomelli ha parlato concretamente della convenzione Stato-rai, in scadenza il prossimo 6 maggio. Si tratta dell’atto fondamentale per l’azienda, senza il quale l’intero apparato cessa di avere funzioni e specificità proprie del servizio pubblico, per passare alla normale lista delle società di broadcasting. …Leggi tutto »

È legge: il 3 ottobre Giornata della Memoria e dell’Accoglienza

di Comitato 3 ottobre

A presiedere l’aula c’è il leghista Roberto Calderoli. È lui a dire che il Senato approva, poi scuote il campanello e chiude la seduta. Solo guardare lui che aveva chiamato “orango” il ministro Cecile Kyenge, è già una vittoria o almeno una bella soddisfazione. I 9 voti contrari sono del suo gruppo, ma sono pochi. Dalle undici del mattino del sedici marzo 2016 la Giornata della Memoria per le vittime delle migrazioni è legge dello Stato. Verrà celebrata il 3 ottobre e servirà a ricordare, a programmare un lavoro lungo un anno in tutte le scuole per cercare di capire e di conoscere le storie delle persone che vengono dal mare. …Leggi tutto »

Il “caso Blu” e la street art che si fa politica

di Giulia Presutti
Una pennellata, un colpo di rullo e via: vent’anni di disegni spariscono nell’oblio. Così Blu, graffitista che il Guardian ha inserito nella top ten mondiale, ha cancellato da Bologna ogni traccia della sua opera. Una damnatio memoriae non da poco, perché l’anonimo artista ha iniziato proprio nel capoluogo emiliano, dove è nato, e lì torna spesso, tra un viaggio in Messico e un lavoro in Palestina, per onorare i muri incorniciati dai portici.

Il gesto di Blu potrebbe sembrare violento, una strana riappropriazione di qualcosa che lui stesso aveva donato al pubblico. Una personalizzazione, insomma, dell’arte più democratica che esista: quella di strada. E invece è proprio questo che Blu vuole evitare, smantellando per protesta anni di lavoro. Se non lo avesse fatto, le sue opere sarebbero state staccate dai muri per finire in un museo, quello di Palazzo Pepoli, dove il 18 marzo inizierà una mostra dal nome “Banksy & Co. L’arte allo stato urbano”. L’idea viene dall’istituzione Genus Bononiae, nata per iniziativa della Cassa di risparmio di Bologna, e lo scopo dichiarato è quello di salvare i disegni dal deperimento, avviando una “riflessione sulle modalità della salvaguardia di queste esperienze”. Peccato che a molti la scelta di chiudere in una stanza quello che per definizione è di tutti sia sembrato un assurdo. E dalla conservazione dei murales la riflessione si è spostata sulla legittimità di un’operazione che trasforma creazioni spontanee, nate in opposizione alla cultura istituzionale, in arte da museo. Senza contare che il degrado e la demolizione sono, per gli artisti di strada, parte integrante del prodotto finito, che campeggia su un muro ed è in continuo divenire.

Il principio ricorda Antonio Canova, che nell’Ottocento insisteva sulla necessità di lasciare le opere d’arte lì dove sono conservate, perché “formano catena e collezione” con i luoghi fisici e ne incamerano la storia. E Canova non era proprio un sovversivo.

Più polemiche che consensi, dunque, per una mostra che ha scosso l’opinione pubblica internazionale. Ma soprattutto quella dei bolognesi, che ben conoscono l’ideatore dell’evento: Fabio Roversi-Monaco, Presidente di Genus Bononiae, è stato membro della loggia massonica Zamboni – De Rolandis, magnifico rettore dell’Alma Mater dal 1985 al 2000, ex-presidente di Bologna Fiere e di Fondazione Carisbo, ed è tuttora alla guida di Banca Imi. “Non stupisce che ci sia l’ex-presidente della più potente Fondazione bancaria cittadina dietro l’ennesima privatizzazione di un pezzo di città”, scrive su Giap il collettivo di scrittori Wu Ming (http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24357 ), a cui Blu ha dato il compito di spiegare la sua decisione.
Ad aiutare il graffitista nell’impresa ci sono gli occupanti di due centri sociali, l’XM24 e il Crash: insieme a lui hanno cancellato l’uomo con la mascherina antismog nel sottopassaggio di via Stalingrado, gli scontri di piazza sulla facciata dell’ex macello comunale e una mezza dozzina di opere segnalate nelle guide alternative, mete di pellegrinaggi per appassionati.
Questo atto – si legge su Giaplo compiono coloro che non accettano l’ennesima sottrazione di un bene collettivo allo spazio pubblico, l’ennesima recinzione e un biglietto da pagare. Lo compiono coloro che non sono disposti a cedere il proprio lavoro ai potenti di sempre in cambio di un posto nel salotto buono della città. Lo compiono coloro che hanno chiara la differenza tra chi detiene denaro, cariche e potere, e chi mette in campo creatività e ingegno”. È la resa dei conti fra arte e politica. O meglio, è l’arte che si fa politica.

TRIVELLE IL 17 APRILE, INFORMIAMO E VOTIAMO

di Alex Zanotelli

Il 17 aprile dobbiamo tutti/e prepararci ad andare a votare il nostro SI’per il Referendum, proposto da nove regioni e dai comitati No Triv . (Ricordiamoci che si tratta di un Referendum abrogativo di una legge del governo Renzi sulle trivellazioni petrolifere, per cui è da votare SI’ all’abrogazione!) La sola domanda referendaria su cui dovremo esprimerci sarà : “Si può estrarre petrolio fino all’esaurimento dei pozzi autorizzati che si trovano lungo le coste italiane entro le 12 miglia?” Inizialmente erano sei le domande referendarie proposte dalle nove regioni (Basilicata, Puglia, Molise, Veneto, Campania, Calabria, Liguria, Sardegna e Marche). Ma la Cassazione ha bocciato l’8 gennaio le altre cinque domande perché il Governo Renzi, nel frattempo, aveva furbescamente riscritto due commi del Decreto Sblocca Italia 2016. Per cui ne rimane una sola. Le ragioni date dai comitati NO TRIV per votare SI’ sono tante: il pericolo di sversamenti di petrolio in mare con enormi danni alle spiagge e al turismo, il rischio di movimenti tellurici legati soprattutto all’estrazione di gas e l’alterazione della fauna marina per l’uso dei bombardamenti con l’aria compressa.
Ma la ragione fondamentale per votare SI’ è ,che se vogliamo salvarci con il Pianeta, dobbiamo lasciare il petrolio ed il carbone là dove sono, cioè sottoterra! Il Referendum ci offre un’occasione d’oro per dire NO alla politica del governo Renzi di una eccesiva dipendenza dal petrolio e dal carbone per il nostro fabbisogno energetico. Gli scienziati ci dicono a chiare lettere, che se continuiamo su questa strada, rischiamo di avere a fine secolo dai tre ai cinque centigradi in più. Sarà una tragedia!
Papa Francesco ce lo ripete in quel suo appassionato Laudato Si’:”Infatti la maggior parte del riscaldamento globale è dovuto alla grande concentrazione di gas serra emessi soprattutto a causa dell’attività umana. Ciò viene potenziato specialmente dal modello di sviluppo basato sull’uso intensivo dei combustili fossili(petrolio e carbone) che sta al centro del sistema energetico mondiale.” Il Vertice di Parigi sul clima , il cosidetto COP 21, dello scorso dicembre , lo ha evidenziato , ma purtroppo ha solo invitato gli Stati a ridurre la dipendenza da petrolio e carbone. E così gli Stati, che sono prigionieri dei poteri economico-finanziari, continuano nella loro folle corsa verso il disastro. Per questo il Referendum contro le trivellazioni diventa un potente grimaldello in mano al popolo per forzare il governo Renzi ad abbandonare l’uso dei combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili.
Trovo incredibile che il governo Renzi non solo non abbia obbedito a quanto deciso nel vertice di Parigi, ma che non abbia ancora calendarizzato la discussione parlamentare per sottoscrivere gli impegni di Parigi entro il 22 aprile. In quel giorno infatti le nazioni che hanno firmato l’Accordo di Parigi si ritroveranno a New York per rilanciare lo sforzo mondiale per salvare il Pianeta. Sarebbe grave se mancasse l’Italia.
Per questo mi appello alla Conferenza Episcopale Italiana perché, proprio sulla spinta di Laudato Si’, inviti le comunità cristiane ad informarsi su questi temi vitali per il futuro dell’uomo e del Pianeta, e votare quindi di conseguenza.
Mi appello a tutti i sacerdoti perché nelle omelie domenicali spieghino ai fedeli la drammatica crisi ecologica che ci attende se continueremo a usare petrolio e carbone.
Mi appello alle grandi associazioni cattoliche (ACLI, Agesci, Azione Cattolica…) a mobilitare i propri aderenti perché si impegnino per la promozione del SI’ al Referendum.
“Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti….Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i vescovi del Sudafrica” I talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio.”
Diamoci da fare tutti/e, credenti e non, per arrivare al Referendum con una valanga di SI’ per salvarci con il Pianeta.

Iran, nessun nuovo corso sulla pena di morte

di Iran Human Rights

Continua l’incessante lavoro del boia nella Repubblica Islamica dell’Iran. Con un record di 969 persone messe a morte nel 2015, l’Iran mantiene il triste primato di Paese con il più alto numero di esecuzioni pro capite al mondo. Il 66% delle impiccagioni è stato comminato per reati di droga. Al patibolo sono finiti anche 3 rei minorenni e 19 donne. E’ quanto si può leggere nel Rapporto annuale sulla pena di morte in Iran 2015, curato da Iran Human Rights (IHR) e presentato presso la Federazione Nazionale della Stampa, a Roma, venerdì 11 marzo.

…Leggi tutto »

Costa d’Avorio, nuovi orrori

di Luca Mershed, Italians for Darfur

L’orrore è arrivato dal mare, scatenando il terrore e seminando morte sulle spiagge della Costa d’Avorio. Alcuni uomini armati del ramo nordafricano di al-Qaeda hanno ucciso almeno 16 persone, tra cui quattro europei, dopo aver aperto il fuoco in diversi alberghi della  costa ivoriana.

Il Governo ha detto che le forze di sicurezza hanno ucciso i sei assalitori che hanno lanciato gli attacchi contro tre hotel nella famosa località balneare di Grand-Bassam, luogo di vacanza per i residenti di Abidjan, da cui dista circa 40 km.

Grand-Bassam, che conta circa 80.000 abitanti, è considerato Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO ed è stata la capitale storica fino a quando ha lasciato il posto all’attuale Abidjan. È, tuttavia, rimasta un importantissimo snodo e porto commerciale.

Tra i 16 morti ci sono due soldati, ha detto il presidente della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara. I media locali hanno riferito che degli uomini armati sono entrati nel L’Etoile du Sud Hotel, cogliendo alla sprovvista gli ospiti ed il personale inermi. Il portavoce del Ministero degli Esteri francese ha affermato che anche un cittadino francese è stato ucciso. Un gruppo di monitoraggio, ha sottolineato che al-Qaeda nel Maghreb Islamico ha rivendicato l’attacco.

Koba Maiga, un commerciante locale originario del Mali, ha raccontato che si trovava alla moschea quando ha sentito gli spari verso le 13.30 locali.

“Abbiamo avuto la guerra qui pochi anni fa, quindi sappiamo quando si tratta di armi automatiche appena le sentiamo. La domenica, a volte ci sono scontri tra le forze di sicurezza ed i giovani di Abidjan che scendono verso la costa e causano problemi in spiaggia”, ha detto.

È stata una carneficina. Ce ne erano almeno quattro. Tre camminavano fianco a fianco lungo la spiaggia e c’era un quarto uomo che sparava sui sopravvissuti”, ha poi continuato.

“Tante persone sono corse fuori in mare per sfuggire. Quindi, a parte le persone che sono morte per i colpi di pistola ce ne sono state alcune che sono annegate e sono state spazzate via in mare. Erano africani subsahariani. Anche se indossavano passamontagna tutti hanno visto che avevano le mani brune. Ora sono calmo, l’esercito ivoriano è qui.”, conclude il testimone della terribile sparatoria.

Il portavoce per l’Ufficio Estero Britannico (FCO) ha affermato che i funzionari stanno, urgentemente, cercando di stabilire se eventuali cittadini britannici sono stati coinvolti nell’incidente.

Il FCO sconsiglia tutti i viaggi non essenziali verso le regioni occidentali della Regione delle Montagne, Haut-Sassandra, Moyen-Cavally e Bas-Sassandra. Sugli attacchi di domenica ha riferito: “Il 13 marzo ci sono state segnalazioni di un attacco armato al Grand-Bassam resort, nei pressi di Abidjan. Si dovrebbe evitare l’area, se possibile. Se si è in prossimità, seguire le istruzioni delle autorità di sicurezza. C’è un’alta minaccia di terrorismo. Si dovrebbe essere vigili dopo i recenti attentati in Mali e Burkina Faso. Gli attacchi potrebbero essere indiscriminati, anche nei luoghi visitati dagli stranieri”.

Gli attacchi degli ultimi mesi contro gli alberghi di lusso nelle capitali delle vicine Mali e Burkina Faso hanno causato la morte di decine di persone, obbligando i Paesi dell’Africa occidentale ad aumentare la sicurezza di fronte a una minaccia terroristica in crescita.

Gli analisti hanno espresso il timore che gli attacchi potrebbero diffondersi nel resto della Costa d’Avorio ed in Senegal mentre aumentano le esercitazioni militari guidate dagli Stati Uniti nella Regione con lo scopo di contrastare le minacce terroristiche.

Questo tipo di attacco è stato il primo del suo genere in Costa d’Avorio da quando i militanti hanno cominciato a destabilizzare il vicino Mali nel 2012. Un intervento militare francese che ha avuto inizio nel nord del Mali nel 2013 è stato esteso per coprire l’intera Regione del Sahel nel 2014.

Ma la Costa d’Avorio, dove le forze di pace francesi sono rimaste tra il 2002 ed il 2014, non era stato considerato una priorità per l’anti-terrorismo.

Ilvo Diamanti: Italiani contro Schengen

di Gian Mario Gillio

Queste tendenze emergono dal IX Rapporto sulla sicurezza in Europa, curato da Demos e dall’Osservatorio di Pavia, insieme alla Fondazione Unipolis. La nostra intervista al sociologo Ilvo Diamanti

Professor Diamanti, su Repubblica lei scrive che in materia di rifugiati e richiedenti asilo gli italiani hanno paura: «via Schengen, sì alle frontiere». Sino ad oggi credevamo di primeggiare in tema di accoglienza in Europa. Non è così?

«Non è una novità clamorosa la nostra indagine. In effetti l’apertura delle frontiere, come oggi ho scritto, costituisce ed ha costituito un risultato importante, forse addirittura più importante della costituzione della moneta unica nel processo unitario, ossia di Europa unita. La moneta infatti riguarda il mercato, che sicuramente ha a che fare con la vita quotidiana delle persone e dell’economia più in generale, ma la moneta e i mercati non hanno frontiere né confini, non ne hanno mai avuti. Le persone ovviamente sì. I capitali possono viaggiare senza che nessuno chieda loro il passaporto, le persone sono soggette invece a tale controllo. Viviamo in un tempo di grandi movimenti e dunque è comprensibile che la discussione focalizzata sulla situazione europea faccia emergere nuove paure, di cui abbiamo voluto dare conto proprio oggi con la nostra indagine; da dieci anni lavoriamo su questi temi con Demos, l’Osservatorio di Pavia e la Fondazione Unipolis. Abbiamo rilevato che il flusso e la gerarchia delle incertezze e delle paure che pervadono le persone è sensibilmente aumentato proprio in questi ultimi anni. Il Rapporto che presenteremo il prossimo 15 marzo a Roma presso la Camera dei Deputati, mostra l’esistenza e l’evidenza di un grado di insicurezza generalizzato, molto elevato. Ovviamente questo grado di insicurezza non riguarda solamente l’Italia: c’è infatti in tutta Europa una grande maggioranza di persone che ritiene che il Trattato di Schengen debba essere quantomeno ridimensionato».

I numeri in Italia a tal proposito sono davvero allarmanti: lei sostiene che sei italiani su dieci non credono più al Trattato di Schengen, anche all’interno dalla forza politica di maggioranza, il Pd. Conferma?

«Tenga conto che questa indagine rileva le percezioni, quindi gli orientamenti delle persone. In realtà misura il clima d’opinione. Abbiamo scandagliato la base potenziale e i simpatizzanti di diversi partiti e i risultati sono questi: nel Pd quattro persone su dieci sono contrarie a Schengen, rispetto ai 7 su 10 di Forza Italia, 8 per la Lega Nord, ma anche il 55% di elettorato vicino al Movimento Cinque Stelle sostiene la posizione più radicale, ossia che vengano immediatamente rispristinati i controlli alle frontiere. Questo è un dato che riflette il sentimento delle popolazione. In Germania il 19% e da noi, in Italia, il 56% del totale della popolazione sostiene la sostanziale chiusura – il controllo – alle frontiere, dunque il ripristino di un Europa precedente al Trattato di Schengen. In Spagna il 25%. Il 40% in Francia. I favorevoli a mantenere Schengen così com’è, in Italia, sono il 13%, più o meno come in Francia dove la situazione è decisamente più difficile e sicuramente la richiesta di controlli più motivabile. Ammesso che sia possibile poter controllare un mondo così globalizzato come il nostro».

Eppure la politica italiana, in tema di migrazioni e accoglienza, sembra andare in senso contrario alle chiusure europee. Il presidente delle Repubblica e solo ieri anche il papa, hanno ricordato favorevolmente il progetto pilota dei corridoi umanitari che la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), la Comunità di Sant’Egidio e la Tavola valdese stanno attuando insieme ai ministeri dell’Interno e degli Esteri. La politica, le chiese e il mondo associazionistico non rappresentano dunque la società civile?

«Rispetto ad altri paesi noi oggi siamo, e siamo sempre stati, molto esposti. Magari non quanto la Grecia e i Balcani in questa particolare fase, ma siamo un paese di frontiera, un ponte sull’Africa, sul Nord Africa, un luogo attraversato da persone in fuga e deportate da trafficanti di esseri umani – una componente quest’ultima non irrilevante dei flussi che regolarmente arrivano nel nostro paese, ma che sono in realtà il prodotto del lavoro sporco dei mercanti di persone. Nonostante tutto e malgrado l’accoglienza che le nostre Istituzioni cercano di garantire – c’è la paura. Non dobbiamo stupirci che il mondo faccia paura. Nel momento in cui ci si sente esposti all’esterno con “l’altro” che incombe nel nostro spazio, nella nostra territorialità, le paure aumentano. Noi viviamo costantemente l’approdo di persone sulle nostre coste: questo fatto crea enfasi, paure ma anche pietà, dopo un primo periodo di ostilità e opposizione iniziale. Nei confronti di rifugiati e migranti prevale in generale un atteggiamento di accoglienza perché la società italiana ha una “densità solidale e associativa” molto presente, se questa “densità solidale” la si ritiene minacciata prende il sopravvento l’inquietudine. Inquietudine che tuttavia non è sinonimo di ostilità».

Secondo lei, Diamanti, il progetto dei corridoi umanitari potrebbe essere sviluppato su larga scala e in tutta Europa?

«Come tutti gli esperimenti, andrebbe verificato nel tempo. Credo che sia stato avviato e attivato anche per poter testare su un piano diverso da quelli attuali un modello diverso di accoglienza per un fenomeno che dev’essere in qualche modo normalizzato e che vede da una parte la dimensione emergenziale e dall’altra quella necessaria dell’accoglienza. Quando un fenomeno è riconoscibile e controllabile, in generale, si registra meno inquietudine. Sono sempre ottimista, anche per questa lodevole iniziativa, fatta salva la verifica dei fatti e dei dati nel tempo».

A proposito di inquietudini e paure, generati spesso proprio dai media. Lei ha presentato poco tempo fa il rapporto della Carta di Roma su media e “Notizie di Confine” cosa è emerso?

«I motivi di tanto allarme sono costituiti, da una parte, dal fenomeno migratorio cresciuto fortemente in questi ultimi anni e, dall’altra, anche dalla visibilità che il fenomeno ha ottenuto grazie alla diffusione dei media. Una visibilità in parte fondata su dati oggettivi e dall’altra scaturita da dalla retorica dei luoghi comuni e degli stereotipi, come quello “dell’invasione”, ad esempio. Una retorica che ha fornito elementi per una spettacolarizzazione televisiva e per alcuni partiti una sponda sulla quale appoggiarsi, politicamente. Ovviamente questo avveniva molto di più nel passato che oggi. Dal punto di vista mediale esiste oggi un controllo diverso dell’informazione data rispetto al passato, c’è più attenzione, cura, più controllo al flusso di notizie su questo tema, un’alfabetizzazione che nel tempo si è cementata anche grazie alle Carte deontologiche e alle Associazioni come la Carta di Roma che cercano di attuarne le linee guida. Una cosa che invece i media spesso non sottolineano abbastanza è l’altra faccia delle nostre paure. Ossia la nostra fragilità demografica. Noi siamo un paese in declino con un saldo demografico negativo, dove i profughi e gli immigrati sostano con la speranza di potersene andare altrove il più velocemente possibile. Il paese di destinazione privilegiato è la Gran Bretagna. L’immigrazione può anche generare inquietudine ma è un buon indicatore dello sviluppo di un paese. Quando chi arriva non ha nessuna intenzione di fermarsi e chi già da tempo, residente, dimostra l’interesse di andarsene, vuol dire che le cose in casa propria non stanno affatto andando bene».

Portare luce dove è buio

 

di Vania De Luca

Il Congresso UCSI riunito a Matera dal 3 al 7 marzo scorso ha eletto i nuovi dirigenti nazionali per i prossimi 4 anni. Per la prima volta dal 1959, anno di nascita dell’Unione, è stata indicata come Presidente una donna, Vania De Luca , vaticanista di Rainews 24.
Vicepresidenti sono Donatella Trotta del Mattino di Napoli e Antonello Riccelli di Telegranducato; mentre segretario è Maurizio Di Schino di Tv2000, e tesoriere Alberto Lazzarini, il Resto del Carlino. Pubblichiamo la riflessione inviataci dalla neo presidente Vania De Luca, a cui facciamo i migliori auguri. …Leggi tutto »