di Luca Mershed
Nicolas Maduro ha dichiarato lo Stato di emergenza e lo Stato di emergenza economica in Venezuela “per proteggere la Patria”, “affrontare le minacce esterne” ed anche “sconfiggere il colpo di Stato in atto”. Il Presidente ha dato l’annuncio in una trasmissione televisiva al Paese, dove ha anche comunicato di aver ordinato il ritorno a Caracas di Alberto Padilla, il suo ambasciatore in Brasile, prima del “colpo di Stato” progettato dal Senato contro Dilma Rousseff.
“Ho deciso di adottare un nuovo decreto per la necessità di sconfiggere il colpo di Stato, la guerra economica, stabilizzare socialmente il Paese ed affrontare le minacce contro il Paese “, ha detto il presidente Maduro.
“Questo decreto non consente di sospendere le manifestazioni, ma può essere utilizzato illegalmente”, ha detto José Vicente Haro, costituzionalista del canale NTN24. L’annuncio di Maduro si verifica dopo aver esaurito i 120 giorni del decreto di emergenza precedente, in cui “si sono promulgati 21 decreti per proteggere il popolo e la stabilità del Paese. Sono decreti di pace, di amore, di protezione nel quadro della Costituzione”, ha affermato il Presidente.
Però, la sintesi del decreto di emergenza non può essere peggiore per il Venezuela: infatti l’inflazione sta distruggendo le tasche del suo popolo e la scarsità di cibo, medicine e materie prime cresce di settimana in settimana. Questo decreto era stato approvato con la forza dell’ideologia rivoluzionaria nonostante il voto negativo dell’Assemblea Nazionale, grazie ad una decisione del Tribunale Supremo di Giustizia. La Costituzione indica che il decreto doveva essere approvato dall’Assemblea Nazionale, qualcosa di irrealizzabile dopo la giurisprudenza creata dal Tribunale Supremo di Giustizia.
Durante il suo discorso, Maduro è tornato a scatenarsi contro l’opposizione e contro il presidente Barack Obama, il quale ha accusato il Governo di non democraticità.
Tutto ciò è stato la premessa alla decisione del 18 maggio del Parlamento del Venezuela che ha respinto il prolungamento dello “Stato di emergenza e dello Stato di emergenza economica” giudicando “incostituzionale” il decreto emanato venerdì dal presidente Nicolas Maduro.
“È un decreto che ignora la Costituzione ed ignora il dolore delle famiglie venezuelane”, ha detto l’opposizione parlamentare, rappresentata da Julio Borges, durante una sessione legislativa. Il decreto, pubblicato ieri nella Gazzetta ufficiale, permette di “dettare misure e piani speciali per la pubblica sicurezza per garantire la sostenibilità delle forze dell’ordine durante azioni destabilizzanti”. Borges, leader del blocco di maggioranza dell’opposizione, ha criticato la norma perché non risolverà i problemi sociali, economici e politici ma addirittura li peggiorerà. Dal suo punto di vista, “l’unica cosa che interessa” il presidente Maduro è “rimanere al potere”, ma ha avvertito che “il popolo venezuelano potrà revocarglielo attraverso il voto”.
Il Presidente dell’Assemblea Nazionale, Henry Ramos Allup, ha sottolineato che “questo Governo si trova in una situazione molto difficile e molto fragile e, non avendo la capacità di mantenere una pace sociale, cerca dei mezzi illegali per restare al potere”. A suo parere, Maduro “è in uno stato di disperazione”, e non si sta attenendo alla Costituzione con la scelta di promulgare questo decreto.
“Con questo atto vengono violate una serie di regole che vanno direttamente contro la Costituzione, come per esempio, non poter dettare mozioni di sfiducia, non poter approvare crediti addizionali e quindi il Presidente può spendere senza freni e senza alcun controllo”, ha detto Ramos Allup.
Il deputato chavista, Elias Jaua Chavez, ha accusato il blocco di maggioranza dell’opposizione di voler legiferare senza il popolo, ed ha indicato che con il decreto, Maduro cerca di evitare una “guerra civile” che è promossa dall’opposizione e dall’imperialismo. “Questo decreto per uno Stato di emergenza è quello di proteggere i venezuelani e garantire il diritto alla vita ai venezuelani”, ha concluso il deputato.
Il decreto, ufficializzato lunedì, è una norma con la quale Maduro propone di affrontare la presunte minacce di un colpo di Stato che è stato portato avanti dagli Stati Uniti con l’aiuto dell’opposizione venezuelana e il sostegno dell’ex presidente colombiano Alvaro Uribe, secondo quanto affermato di recente. “Lo Stato di emergenza e lo Stato di emergenza economica sono dichiarati (…), date le circostanze sociali, economiche, politiche, naturali ed ecologiche che potrebbero compromettere seriamente l’economia nazionale, l’ordine costituzionale, la pace sociale, la sicurezza della Nazione”, dice l’articolo 1 della norma del decreto.
La norma permette di “dettare misure e piani speciali per la pubblica sicurezza e garantire il mantenimento dell’ordine pubblico in azioni destabilizzanti che cercano di irrompere nella vita interna del Paese o le relazioni internazionali di questo”.
Il decreto si basa, tra l’altro, nella “considerazione” che la maggioranza dell’opposizione del Parlamento presumibilmente pretende “il disconoscimento di tutte le autorità pubbliche” e promuove “l’interruzione del mandato presidenziale stabilito nella Costituzione da qualsiasi meccanismo a loro disposizione al di fuori dell’ordine costituzionale”.
di Olivia Vecellio
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di Vincenzo Vita
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di Paolo Borrometi
Le mafie alzano la testa e noi abbiamo un unico modo per contrastarle: non abbassarla e fare squadra, abbandonando la cultura dell’Io ed abbracciando quella del noi, tutti insieme.
Le notizie che arrivano dalla “mia” Ragusa sono drammatiche. Da pochi giorni è balzata agli onori delle cronache una vile aggressione che un magistrato della Procura Iblea ha subito, con conseguente ed immediata disposizione di una tutela.
Aggredire un magistrato, ma ci rendiamo conto?
Uno di quei magistrati che, con coraggio e professionalità, cerca di far luce su aspetti fino ad oggi troppo poco chiari di quella realtà italiana, così lontana da Roma (geograficamente) ma così vicina per gli affari.
Vittoria, nel ragusano, terra meravigliosa più a sud di Tunisi, è la “testa” del mostro delle agromafie. E’ da qui che i caporali iniziano la filiera dell’agromafia.
Un sistema certosino (LEGGI LA NOSTRA INCHIESTA) dal quale vengono immesse nella filiera nazionale frutta e verdura che poi arrivano sulle nostre tavole, tramite il “triangolo dell’ortofrutta”, Vittoria, Fondi e Milano.
Da questo triangolo arriva un pomodoro ciliegino, una melanzana o un frutto, sulla tavola di un milanese, di un veneto, di un romano. Indistintamente.
Provengono dal lavoro e dal sudore della fronte di imprenditori e di braccianti agricoli che, per la stragrande maggioranza, sono onesti lavoratori, ma la contaminazione mafiosa inizia dalla base, sin da subito dopo la raccolta.
Qui, in questa Terra, le mafie hanno imparato a non farsi la guerra, comprendendo che dividersi i compiti è molto più redditizio.
Le mafie diventano una vera e propria holding: Stidda e Cosa Nostra si dividono gli affari locali, gestendo i piccoli padroncini, il confezionamento dei prodotti, il lucroso “affare della plastica” (cioè lo smaltimento delle coperture di migliaia di serre e non solo…) e la filiera del Mercato di Vittoria.
La Camorra (sarebbe più giusto parlare dei Casalesi) gestisce i trasporti (sul punto giova ricordare il processo “Paganese”, cioè la condanna per Gaetano Riina – fratello del capo dei capi, Totò – ed i Casalesi, per il patto dell’ortofrutta) e la ‘Ndrangheta gestisce la cocaina che, insieme alle armi, spesso trova ospitalità proprio sui camion dell’ortofrutta.
C’è solo un modo per interrompere questo andazzo: fare realmente squadra, smettere di considerare le agromafie come “criminalità di livello inferiore” e lottarle come fenomeno complessivo e nazionale, uscendo dal “local”.
Fino ad oggi si è cercato di contrastare il fenomeno delegando la questione agli inquirenti dei territori che, seppur con impegno, non possono avere una visione “globale”.
Si deve andare oltre, denunciare a livello nazionale, ognuno col proprio ruolo: giornalisti, imprenditori, lavoratori e cercare realmente di porre fine a questo andazzo criminale.
Ecco, sarà questo il miglior modo per esprimere la “nostra solidarietà” al Magistrato aggredito, al di là dei proclami solidaristici.
di Riccardo Noury
Non gli è bastato inaugurare il suo quinto mandato come presidente dell’Uganda. Yoweri Museveni ha voluto stravincere, bloccando da giovedì 12 maggio Facebook, Twitter e WhatsApp.
Al presidente-padrone dell’Uganda, paese che nel 2015 ha occupato il 102esimo posto su 180 nella classifica di Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa (cinque posizioni indietro rispetto al 2014), deve aver dato fastidio un video ampiamente circolato online in cui il leader dell’opposizione Kizza Besigye – che ha contestato i risultati delle elezioni di febbraio – giurava come autentico presidente dell’Uganda.
Venti minuti dopo, il blocco, necessario per “motivi di sicurezza nazionale”, secondo un laconico comunicato ufficiale.
Ma quello che è successo off line, sempre giovedì 12, è persino peggio. Una giornalista del quotidiano locale Daily Monitor aggredita e picchiata, un reporter di Canale 44 colpito alla gamba da un proiettile di gomma, due giornalisti di Radio Salt e Delta Tv arrestati.
di Pino Scaccia
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Il nuovo ministro dello sviluppo Carlo Calenda si occuperà di quella parte del suo dicastero che ha a che fare con il sistema dei media? Forse, chissà, è utile dare qualche conforto al sottosegretario con delega Antonello Giacomelli nel momento del bisogno. Infatti, il castello su cui si poggia la struttura del servizio pubblico pare molto infiacchita, a parte il regalo di Natale della (contro)riforma. …Leggi tutto »
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