di Vincenzo Vita
Al confronto don Abbondio degli “impedimenti dirimenti” appare abile e deciso come Harrison Ford dell’”Arca perduta”, coraggiosissimo come Tom Cruise nelle sue missioni impossibili, sagace e intuitivo come il tenente Colombo.
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Tutto pronto per l’inaugurazione a Lucca della sesta edizione del Festival Italiano del Volontariato. Il taglio del nastro sarà giovedì 14 aprile . “Accendiamo i riflettori sull’Italia e l’Europa che vogliamo, sulle nostre città spesso invisibili che nonostante tutto praticano i valori di civiltà e coesione. Il Festival Italiano del Volontariatoserve anche a questo, a dimostrare che la solidarietà e l’apertura al mondo sono il vero antidoto alle crisi e alla paura del terrore globale”. …Leggi tutto »
di Stefano Lamorgese
Perchè sentiamo più distanti le vittime di Ankara? La risposta di Stefano Lamorgese, Vicepresidente Associazione Amici di Roberto Morrione, a James Taylor che nel web si chiedeva che cosa avremmo detto – della bomba che ha provocato la strage di Ankara del 13 marzo scorso – se fosse esplosa a Piccadilly Circus, a Londra; o in una via centrale di una qualsiasi altra città britannica. …Leggi tutto »
di Cecilia Brighi
segretario generale dell’associazione Italia-Birmania Insieme
Negli ultimi cinque anni, con l’arrivo del primo governo semi civile, in Birmania si era cominciato ad intravedere un processo di apertura politica e sociale, fino ad allora inimmaginabile. La maggior parte dei prigionieri politici era stata liberata, molte leggi repressive erano state modificate, la quotidianità non era più sottoposta a rigidi controlli di polizia e con l’approvazione delle norme che vietano il lavoro forzato, le sanzioni politiche ed economiche UE e USA erano state cancellate. …Leggi tutto »
di Fnsi FVG
Ventidue anni fa, il 20 marzo 1994, la giornalista Ilaria Alpi e l’operatore triestino Miran Hrovatin
Oggi, a 22 anni dalla loro scomparsa, una piazza li ricorda a Firenze. Il Comune del capoluogo toscano ha fatto propria la proposta della Comunità delle Piagge, il comitato locale che si è fatto promotore del riconoscimento alla loro memoria.
Alla cerimonia ufficiale, prevista domani sabato 19 marzo alle 11 con la posa delle targhe da parte del Comune di Firenze, è stata invitata anche la Fondazione Luchetta, Ota, D’Angelo, Hrovatin, nata all’indomani dei quattro lutti che nel 1994 colpirono il mondo del giornalismo triestino.
La tragedia di Mogadiscio avvenne infatti a soli due mesi dal 28 gennaio, quando gli inviati Rai Marco Luchetta, Alessandro Ota e Dario D’Angelo vennero uccisi a Mostar da una granata mentre stavano realizzando uno speciale TG1 sui bambini vittime della guerra nell’ex Jugoslavia .
Così, al 22° anniversario della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e a due settimane dalla riapertura del processo sul loro omicidio (il 6 aprile a Perugia), la presidente della Fondazione, Daniela Luchetta, si recherà a Firenze per raccontare lo spirito con cui è nata la onlus che da allora opera a Trieste a favore dei bambini vittime delle guerre o incurabili nei loro Paesi d’origine.
Di questo – e delle ultime novità sulla Fondazione – la presidente Daniela Luchetta parlerà a Firenze anche il giorno successivo, nel corso dell’incontro pubblico “Inaugu
Nel pomeriggio del 20 marzo sarà proiettato il video documentario “Saluti da Miran” realizzato nel 2014 da Videoest con il contributo del Fondo per l’Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia e distribuito dal quotidiano Il Piccolo.
di Vincenzo Vita
Se è ancora attuale lo stato di diritto e se –come temono politologi illustri – non è ancora tornato in auge il libro della giungla, allora la concentrazione in un’unica compagine de “La Stampa”, de “Il Secolo XIX” e del gruppo “Espresso-Repubblica” non si può fare. …Leggi tutto »
di Roberto Moisio
Cinquanta mila chilometri di confini, di cui quasi l’80% di mare. Dentro questi confini vive il 7% della popolazione mondiale, che produce il 20% del reddito mondiale e consuma il 50% del welfare globale.
Dentro questi confini vivono gli abitanti di 28 Paesi, che compongono una unione imperfetta di quello che viene chiamato “vecchio continente”.
Una Europa nervosa, impaurita, destinata ancora a ridursi quantitativamente in pochi anni, perché invecchiata , che non fa figli e che, in preda a una certa confusione mentale, tira su muri per difendersi dall’ondata di chi fugge da fame, povertà, guerra.
In questa situazione ha senso, come titolano sempre più spesso i giornali in questi ultimi tempi, “sospendere Schengen”?
Se lo sono chiesto stamani al Campus Einaudi dell’Università di Torino, docenti, ricercatori, politici e circa 200 studenti, universitari e di scuole superiori.
Innanzitutto si é cercato di fare un po’ di chiarezza sui termini della questione nell’incontro organizzato dal Dipartimento Culture, Politica e Società, diretto da Franca Roncarolo, docente di Comunicazione pubblica e politica.
Schengen é il Trattato del 1985 che sancisce la libera circolazione “interna” all’Unione Europea di persone e merci: con Schengen non è più necessario mostrare passaporti passando da uno all’altro dei Paesi Europei che hanno aderito al trattato; i voli in Europa sono voli “interni”; ha preso l’avvio il progetto Erasmus che ha permesso già ad alcuni milioni di giovani europei di integrare la propria formazione superiore nel continente; con Schengen é nata quella che i sociologi chiamano la “generazione Schengen”, giovani cioè che, a cavallo del 2000, incominciano a pensare al proprio futuro non necessariamente nel cortile di casa, che si confrontano con situazioni culturali ed economiche simili, ma diverse, che hanno in testa un “passaporto ” europeo.
Schengen é il pilastro normativo fondativo di un’identità europea, come l’euro é il collante dell’area economica continentale.
Sospendere Schengen significa tornare indietro nel tempo, alle barriere doganali, alla limitazione della circolazione di persone e merci. Significa la sepoltura del progetto europeo, nato dopo la seconda guerra mondiale per evitare nel futuro le guerre, i massacri che avevano caratterizzato i secoli precedenti e, soprattutto, la prima parte del ‘900.
C’é ancora questo rischio? Certo, basta pensare a quello che capitò non più di una ventina di anni fa, sull’altra sponda dell’Adriatico, dove ci furono conflitti ferocissimi e massacri tra popolazioni che avevano convissuto pacificamente nella allora Jugoslavia.
C’entra qualcosa Schengen con la difesa dal terrorismo? C’entra qualcosa la presenza della portaerei De Gaulle nel Mediterraneo dopo l’attentato di Parigi del novembre scorso? I terroristi finora identificati erano tutti cittadini francesi o belgi, già da tempo “dentro” i confini europei.
Ed erano terroristi organizzati, si chiede l’antropologo Roberto Beneduce, quelli che la scorsa estate facevano da palline di ping pong tra la stazione ferroviaria e gli scogli di Ventimiglia?
Difficile immaginare organizzazioni terroristiche così scalcagnate…
Per difendere più efficacemente l’Europa dal terrorismo e dalla criminalità, anche economica, il Gruppo Spinelli propone per bocca di Mercedes Bresso, parlamentare a Strasburgo per il PD, 5 punti, che consentano una ancor maggiore integrazione tra i 28 Paesi:
1- una politica europea unica di asilo, superando il Trattato di Dublino, che si occupa di questa materia
2- una guardia di frontiera comune, non solo nazionale, ma integrata
3- una intelligence europea (il massacro del Bataclan ha dimostrato ciò che già si sapeva, che la cooperazione tra i diversi Servizi è lacunosa e imperfetta)
4- una Agenzia di Polizia Europea
5- un sistema giudiziario europeo, sempre più integrato e un Procuratore europeo che persegua reati commessi in più Paesi, per rendere più efficace la lotta al terrorismo e, soprattutto, per contrastare la criminalità economica e le mafie che prosperano sulle differenze dei sistemi giudiziari e sui confini interni che rallentano le indagini.
Per Bresso è una sciocchezza sospendere Schengen; semmai bisogna mettere in atto, come per le cinque proposte di contrasto al crimine, tutte le possibili iniziative politiche tendenti a una integrazione sempre maggiore, per meglio tutelare la sicurezza dei cittadini europei.
Per garantire meglio controlli e integrazione, spiega Umberto Morelli, docente di Relazioni internazionali, servono 20 miliardi l’anno. La Commissione Europea dispone di un bilancio complessivo di 140 miliardi l’anno, corrispondente all’1% del Pil continentale.
Troppo poco e per di più, nell’ultima programmazione di fondi 2014-2020, per la prima volta sono stati ridotti i fondi. Ulteriore dimostrazione della miopia strategica delle politiche di austerity. Con l’applicazione della carbon tax, tassa sull’inquinamento, si potrebbero reperire circa 35 miliardi l’anno, ma la proposta è da tempo ferma, immobile.
Morelli ricorda come invece nel 1935, sei anni dopo l’inizio della recessione economica, Roosvelt avesse quadruplicato il bilancio federale, per contrastarne gli effetti.
E come si fa a chiedere alla Grecia, che fatica a pagare le pensioni, di farsi carico da sola dei controlli alle frontiere, pena l’esclusione da Schengen?
Semmai, sottolinea Francesco Costamagna, giurista, la questione si risolve modificando il Trattato di Dublino, non Schengen, allineandosi sostanzialmente alla proposta del Gruppo Spinelli di una politica di asilo unica, europea.
Infine qualche piccolo dato, fornito da Maurizio Veglio, avvocato che si occupa professionalmente dei rifugiati, per inquadrare le dimensioni di un problema su cui scientemente mestatori xenofobi e mass media confusi non consentono valutazioni razionali, ma giocano sulle emozioni e sulle paure di cittadini sull’orlo di una crisi di nervi.
Nel 2015 sono transitati dalla Turchia verso la Germania e il Nord Europa 851 mila persone, in prevalenza siriane, richiedenti asilo, richiesta peraltro a cui, in base al diritto internazionale, è doveroso dare risposta.
153 mila in Italia, alcune migliaia in meno del 2014, di cui quasi la metà non identificati e, presumibilmente, “spariti” in altri Paesi europei, mentre in Turchia, che ha chiesto per questo 3 miliardi all’Unione Europea, vivono circa 2 milioni e mezzo di siriani in condizioni tragiche. Il Libano, che ha 4 milioni di abitanti, accoglie circa 1 milione di profughi siriani.
I termini più usati nelle varie cronache riguardanti l’immigrazione in Europa inerenti alle politiche di accoglienza sono “hot spot”, “hub” e altre tecnicalità in burocratese.
Ma l’accampamento dei profughi a Calais, che è stato mostrato poche settimane fa dalle telecamere di Sky, non sarebbe più corretto chiamarlo “campo di concentramento”?
Al seminario i ragazzi erano attenti, concentrati, perplessi. Contemporaneamente il Consiglio Europeo era riunito a Bruxelles con la stessa questione all’ordine del giorno.
“Dum Romae consulitur, Saguntum peritur“.
È proprio vero che la storia si ripete, ma quasi sempre in peggio.
Luca Mershed, Italians for DarfurIl Governo della Colombia e la guerriglia delle FARC lo scorso 2 febbraio hanno firmato un fondamentale accordo nella parte finale del processo di pace che sta avendo luogo al L’Avana da più di tre anni. Nel quadro di questo accordo, si è deciso che le Nazioni Unite manderanno degli esperti a verificare il cessate il fuoco bilaterale e definitivo –anche se non si è ancora deciso il termine esatto di quando inizierà- con lo scopo finale di porre termine alla guerra ed alla deposizione delle armi da parte delle FARC.
“(Tutto ciò) è una dimostrazione che entrambi le parti interessate, il Governo e le FARC, vogliano porre fine definitivamente al conflitto armato che si sta producendo nel Paese”, ha assicurato Humberto De la Calle, Capo della delegazione del Governo nelle negoziazioni.
Secondo quanto accordato dalle parti, si creerà un meccanismo tripartito –Governo, FARC, ONU- di monitoraggio e verifica dell’accordo bilaterale sul cessate il fuoco e delle ostilità definitivo, oltre che della deposizione delle armi con il fine di “assicurare fiducia e garanzie per il suo compimento”. “I negoziati sono entrati in una tappa definitiva”, ha sottolineato il numero due della guerriglia e Capo negoziatore, Iván Márquez.
La Missione delle Nazioni Unite sarà integrata dagli osservatori dei Paesi membri della CELAC, l’organismo d’integrazione latinoamericano promosso dall’ormai morto presidente venezuelano Hugo Chávez. Entrambe le parti interessate si sono accordate per chiedere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, attraverso il Governo colombiano, la creazione immediata di questa Missione politica con osservatori non armati per un periodo di 12 mesi, prorogabili su richiesta del Governo Nazionale e delle FARC.
Secondo quanto spiegato dal presidente Juan Manuel Santos, gli osservatori saranno membri dei Paesi scelti dalle Nazioni Unite nella consultazione con il Tavolo dei Negoziati del L’Avana “così da seguire la prassi abituale per questo tipo di missioni in tutti i processi di pace nel Mondo”. Per esempio, che non partecipino i Paesi limitrofi, come il Venezuela, coordinatore del processo di pace. “Si tratta di osservatori non armati e non di una Missione di mantenimento della pace dei caschi blu”, ha spiegato Santos.
“Con quest’accordo stiamo percorrendo i passi che ci porteranno alla concretizzazione di questi negoziati”, continua De la Calle. Santos ed il leader delle FARC, Timochenko, si erano accordati il 23 settembre di darsi sei mesi per firmare in modo definitivo l’accordo di pace. Tuttavia, questo fatto aveva generato molte controversie: le FARC affermano che quanto accordato entrerebbe in vigore solo insieme al cosiddetto accordo di giustizia, siglato il 15 dicembre, ma il Governo ha assunto una posizione totalmente contraria in quanto vorrebbe accelerare i negoziati il più possibile per non prorogare la firma, cosa che aumenterebbe i costi politici.
De la Calle ha voluto precisare che “non stiamo pensando di truccare il cessate il fuoco per renderlo fittizio”. Dal passato 20 luglio vige uno stop unilaterale per le FARC che hanno rispettato e che il Governo ha celebrato e riconosciuto pubblicamente. La risposta dell’Esecutivo colombiano a questa tregua è stata la sospensione dei bombardamenti contro gli accampamenti dei guerriglieri.
Tutti sperano che la guerra termini in modo rapido e concreto in quanto dopo 50 anni di conflitto le perdite dal punto di vista economico, politico, sociale ma soprattutto di vite umane (8 millioni) sono state eccessive.